Pasqua: la voce del vescovo

ImmagineNon perdiamo la sana abitudine di ascoltare la voce del Vescovo, il Cardinale Angelo Scola, che nel corso delle passate feste pasquali ha sottolineato
una serie di argomenti che costituiscono l’attualità della pastorale; vi diamo qui di seguito alcuni assaggi che evidenziano dove va la Chiesa
in questi tempi difficili sotto tanti punti di vista.
«In un mondo come il nostro, se una persona arriva fino a inginocchiarsi nel confessionale, è già al 90% del percorso per domandare il perdono pacificante di Dio e rientrare nell’esistenza con una pace costruttiva. Di cui solo Dio sa, come i tragici eventi di questi giorni ci richiamano, quanto ha bisogno questa nostra affaticata Europa». È la Riconciliazione, il tema su cui il cardinale Angelo Scola sviluppa l’omelia della Messa crismale del Giovedì santo. L’importanza della Riconciliazione, ha detto l’Arcivescovo, chiede di riconoscere che «il peccato non è solo questione tra l’individuo e Dio: esso comporta una ferita reale al popolo cristiano. Basti pensare a quanto i nostri peccati incrinano i rapporti personali e comunitari». Per questo, sebbene «la Chiesa coopera alla conversione del peccatore mediante la carità, l’esempio e la preghiera – si chiede Scola – non ci limitiamo troppo spesso a una pratica individualistica del sacramento, che non consente di cogliere fino in fondo la grazia del perdono attraverso il ministero della Chiesa, dimora della riconciliazione?». Con una maggiore consapevolezza, ha proseguito, «i fedeli, accostandosi al sacramento della riconciliazione, saranno chiamati ad approfondire la loro appartenenza ecclesiale». Come? Il Cardinale suggerisce la strada, raccomandata in «tempi liturgici privilegiati» come il venerdì e la Quaresima: «Per educare la comunità cristiana a quest’essenziale dimensione ecclesiale del sacramento della riconciliazione sarà opportuno proporre in talune occasioni celebrazioni comunitarie in cui la confessione personale dei peccati e l’assoluzione individuale siano inserite in un ordinato gesto
liturgico (CCC, 1482). Un’adeguata sottolineatura dei riferimenti penitenziali presenti nella liturgia
eucaristica di ogni domenica aiuterà ogni fedele a far proprio quell’“atteggiamento di confessione”» necessario per la vita comunitaria e personale. Un atteggiamento che «dovrebbe determinare lo stile di ogni assemblea di cristiani, perché consente un ascolto di reciproca fecondazione».
Nella Messa in Coena Domini del giovedì santo sera il Vescovo ha proseguito: «Per decenni ci siamo voltati dall’altra parte di fronte alle tragedie del Medio Oriente e dell’Africa. Ora speriamo di non voltarci dall’altra parte anche di fronte ai fatti di Bruxelles». Proprio perché l’istituzione, con l’Ultima Cena, dell’Eucaristia «rovescia la situazione di peccato, documenta un imponente dono di Grazia» ed entrando nella Passione – come sottolinea la liturgia ambrosiana– Gesù ci spalanca le porte della misericordia». Una misericordia che appare, mai come oggi, necessaria.
«L’Alleanza Pasquale in Cristo è l’alleanza in cui Dio ha chiesto tutto a se stesso e non ha posto nessuna condizione previa agli uomini, anche se nemici e traditori» e, si potrebbe aggiungere, non ne riserva nemmeno a noi uomini e donne del terzo millennio, noi che «cadiamo nell’oblìo che conduce all’incredulità».
Nella celebrazione della Passione del Venerdì santo pomeriggio l’Arcivescovo si domanda: «Quanto
ha patito Gesù?». Questa la domanda, nota Scola, che «non troverà mai risposta esauriente»
«Ogni volta che ascoltiamo il dettagliato racconto delle sofferenze esso provoca la nostra commozione. Istintivamente, siamo tentati di distogliere lo sguardo da Gesù tradito, afferrato dall’angoscia,
abbandonato da tutti, catturato con la forza e consegnato a un tribunale; incatenato, schiaffeggiato,
incoronato di spine tra gli scherni e gli sputi, sommerso dalle urla di una folla inferocita». Un
martirio, quello del Dio fattosi uomo, accettato consapevolmente e che premette di dire che «non
c’è sofferenza fisica, psichica o spirituale che non trovi il suo punto di inserzione nella Passione del
Signore. Ogni sofferenza umana è portata, accolta, abbracciata dalla Passione e Morte del Figlio
di Dio».
Allora, che fare di fronte alla moltitudine dei “venerdì santo” di ogni epoca, a quelli che paiono non
avere fine? Guardiamo il Crocifisso: «Contemplandolo, nel giorno del grande silenzio, si comprende la grazia dei tanti martiri del nostro tempo. Si comprende la scelta di donne e uomini di consacrarsi nella verginità, si comprende l’amore casto dei giovani, si comprende il matrimonio fedele ed aperto alla vita di tanti cristiani. Si trova qui la sorgente dell’inesauribile carità che, da duemila anni, guida la vita della Chiesa e di migliaia e migliaia di cristiani che si fanno carico della sofferenza degli uomini loro fratelli. Si comprende, nonostante tutte le nostre contraddizioni, il tentativo di attuazione di bene che ognuno di noi dona alla Chiesa», scandisce ancora l’Arcivescovo.
Uno stare «davanti al Crocifisso», che chiede, tuttavia, una consapevolezza, uno “stile” capace di
riconoscere la nostra responsabilità personale di peccatori.
E da ultimo, nel Pontificale del giorno di Pasqua, l’Arcivescovo dice «Celebriamo la Pasqua per lasciarci educare da Lui: così è successo per tutti i discepoli, come documenta la Parola di Dio oggi
proclamata, così, con pazienza, dobbiamo fare noi». Seguendo, per questo, le apparizioni di Gesù,
ponendo mente a come si può riconoscerlo «misurando la sua nuova fisionomia», anche se «l’attitudine a “misurare” tutto, oggi massicciamente promossa dalle strabilianti scoperte delle scienze nel loro connubio con le tecnologie, ci rende spesso insensibili ai livelli più profondi della conoscenza di
cui pure siamo dotati. Tendiamo a pensare che ciò che non è misurabile empiricamente semplicemente
non esista». Eppure è sempre più necessario andare in profondità, suggerisce Scola: «Scopriremmo
così la fecondità del “pensiero” di Cristo, del provare i suoi stessi “sentimenti”», così come fece la Maddalena, portando il lieto annuncio, perché come lei, «non siamo visionari, ma testimoni del Risorto. Vincendo il terribile duello contro la morte, Gesù ha aperto alla nostra vita la speranza
certa del “per sempre”. Questo desiderio del “per sempre”, che ogni uomo si porta nel cuore, prende
forma piena con la Risurrezione». Il “per sempre” della Pasqua cristiana chiede di salvaguardare la dignità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale. «Che qualità di vita può 
possedere una società che non accoglie il concepito, in cui non si accompagnano i propri cari nel
trapasso dalla morte alla vita definitiva?», si chiede il Cardinale. Poi, il “per sempre” che illumina
l’amore tra l’uomo e la donna, «testimoniato dalle migliaia e migliaia di sposi dopo trenta, quaranta,
cinquanta e più anni di matrimonio. Da questo amore fedele e aperto alla vita scaturisce un fattore
di solidità per le nostre società. La famiglia, infatti, è scuola primaria di fiducia, di promessa, di compito, di realizzazione. Senza di essa non si può edificare una vita buona e capace di accoglienza»

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