La virtù della carità

La virtù della carità s. Tommaso la definisce (nella questione 65 dell’art. quinto) in questo modo: carità non solo significa amore verso Dio, ma anche una certa amicizia verso «qualcuno»; in questo rapporto sussiste una «mutua» comunicazione. Con questa relazione nasce una società di individui che nella loro attività cercano l’armonia con Dio e con gli uomini.
L’amore, come passione, non ha un carattere determinato; è pluriforme: nel superbo diventa esigente e tirannico, nel sensuale diventa bizzarro ed incostante, nell’egoista diventa materiale e volgare, nel geloso diventa cupo e sospettoso, nel sensibile diventa timido e delicato. Questo nel suo aspetto estrinseco ed intrinseco. Tutti abbiamo amato, amiamo ed ameremo; ciò avverrà affinché ci saranno sulla terra due esseri che cammineranno verso un unico ideale.
Un giorno cercavamo il bacio della mamma, ora il sorriso di un confratello, domani forse… l’abbraccio col Signore magari nell’atteggiamento paterno come appare nella parabola del «figliol prodigo»; sì, con le braccia aperte ai figli della luce e… delle tenebre. […] L’unica persona che poteva esistere senza associarsi a qualcuno, ha amato l’umanità; s’è lasciata crocifiggere e, ciò nonostante, ha continuato ad amare. Ora, perché non credere all’amore?
Cerchiamo di accostarci a questo che è stato il primo amore e proviamo ad assorbire tensionalmente quel bene che ci perfeziona. Questi beni, guardati con una concezione armonica del mondo, non li concepiamo su un piano orizzontale, ma l’uno si sovrappone all’altro con una perfetta gerarchia di valori, come nell’ordine dell’essere finito, così anche dell’amore.
La grande realtà: Dio è in noi e noi siamo in Lui; di questa universale relazione ne segue uno sviluppo che viene a comprendere anche colui che è periferico a noi stessi: il prossimo. Sono tre direzioni di carattere tridimensionale: altezza, profondità, latitudine. La sintesi di esse è l’amore che esige coordinamento e conformità all’Amore, quello del « mandatum novum… » ( Gv 13,34ss).
Viene spontaneo rifugiarci in un cuore amico; l’incalzare dei nostri affetti, come una valanga, desiderano riversarsi in qualcosa d’altro che rispecchi un po’ il nostro modus vivendi, il nostro ideale. Per questo che l’amico fedele diventa una «forte protezione», una salutare medicina della vita e dell’immortalità ( Eccl 6,14).
Si trova allora una corrispondenza: non è egoistica, ma si tratta di due inclinazioni naturali che si incontrano (spesse volte senza calcolo umano) e che, dopo l’iniziale sondaggio della comprensione vicendevole, scavano in profondità, fino a capire il quid che li ha fatti incontrare, amare, e li ha fatti sentire «fratelli», amici.
Come ho già detto, la sorgente dei due amori li porta a volere il bene comune; il bene è ciò che perfeziona; ora, avendo trovato un amico, ho trovato uno che mi arricchisce ed insieme ci sentiamo depositari di un autentico tesoro. Mi domando: chi è l’amico? Colui che sa assorbire la mia gioia, il mio dolore, sul quale potrò rovesciare la mia bisaccia, col quale potrò dividere l’ultima goccia della mia borraccia: un altro «me».
Mi scaricherò volentieri in lui, mi aprirò… e gli parlerò con un linguaggio semplice e sereno, con la confidenza generosa dei nostri comuni sentimenti. La glacialità dell’odio e del rancore non devono sussistere, anche se a volte un desiderio implacabile di vendetta ci suggerirebbe un’azione che però è contraria al vero comandamento (Mt 22,39).
Spesso viviamo nel deserto della vita e non riusciamo a dargli un palpito; ecco, l’amico che mi gravita intorno per dirmi una parola, per darmi da bere, per cercarmi un’ombra… E poi dicono che non c’è nessuno che ascolti il nostro lamento, che ci comprenda! Dunque, è accostandoci fraternamente che la Carità vive in noi: è questo il leitmotiv di tutta l’azione liturgico-missionaria della Chiesa.
Purtroppo il nostro non è un «realismo » che viviamo giorno per giorno, ma un «idealismo» appena abbozzato: sì, vogliamo amare il fratello «in Cristo», ma solo col sentimento, con le parole; manca in noi il gesto vigoroso che sopprima questa illusione sensoriale. Ecco l’etica messianica: il cammino armonioso delle anime, dei popoli; niente colored, niente white, niente segregazionisti, niente sbarre, posti di blocco, cortine di ferro, barriere!
Superiamo le ideologie personali, di carattere sentimentale, politico e religioso: amiamoci con coraggio attraverso Gesù con la nostra carne, con le nostre forze, con il nostro spirito; impariamo dal «Suo» stile! Perché fatichiamo ad amarci? Perché siamo degli egoisti. Non sappiamo seguire con sincronia la Sua azione nel modo che Lui ci ha insegnato: cingerci i fianchi con un grembiule e versare acqua in un catino e lavare i piedi agli altri viandanti. Dobbiamo scioglierci, non indurirci; vivere la dolcezza evangelica.
Personalmente direi che la carità si sviluppa nell’entusiasmo, ma stando all’inno paolino essa si trova nella pazienza, ed allora: scusa tutto, crede tutto, spera tutto, sopporta tutto ( 1Cor 13). Perché (è questa l’ultima domanda) siamo tristi? Perché non abbiamo perdonato, non abbiamo amato: niente lacrime coccodrilline, ma il marchio cristiano fatto di bontà e di violenza; amore che sa perdonare anche all’adultera (Gv 8,10ss).
Per questo dobbiamo uscire da noi stessi, eliminare i ripiegamenti per metterci in orbita intorno all’amico. Realizzeremo così l’ultima preghiera sacerdotale di Gesù: … che essi siano una cosa sola, o Padre, come noi siamo una cosa sola! Attueremo anche il detto dell’Apostolo delle Genti: l’unità dello Spirito nel vincolo della pace ( Ef 4,3).
Non viviamo come fratelli, ma «siamo» fratelli. Gesù, dacci del tuo amore, così potremo amare! Mi ridesto e nel tramonto di questa sera ascolto un canto lontano… nei secoli, incominciato all’alba della vita: Amate!

David Maria Turoldo

Lascia un commento