I miti da sfatare sul patrimonio e sulla carità della Chiesa

I numeri e i fatti su ciò che possiedono il Vaticano e la Chiesa e sulle loro opere di carità.

In questi giorni in cui grande clamore ha suscitato il gesto di riattaccare la luce allo stabile di via Santa Croce in Gerusalemme a Roma da parte del cardinale Konrad Krajevski, responsabile dell’Elemosineria Apostolica, sono riemerse le voci sulla ricchezza della Chiesa e su quello che non fa per i poveri e gli emarginati nonostante il suo patrimonio. Avvenire ha raccolto i numeri e i fatti reali per confutare i dati inesatti su cui fanno leva queste notizie diffamatorie.
Nel solo 2018, l’Elemosineria ha utilizzato tre milioni e mezzo di euro, provenienti da entrate proprie (non da fondi pubblici), per pagare bollette, sfratti e farmaci. Poi, a Roma, c’è un dormitorio aperto dal 2015; sotto al Colonnato di San Pietro sono stati costruiti i bagni e le docce per i senza fissa dimora, che hanno a disposizione anche una lavanderia; ogni martedì e giovedì alle stazioni Termini e Tiburtina vengono distribuiti pasti; in inverno vengono distribuite coperte; il lunedì c’è il servizio di barberia gratuita; intorno a Via della Conciliazione vengono lasciate aperte le auto per consentire ai clochard di dormirvi dentro nelle notti più rigide; in collaborazione con il Servizio Sanitario Vaticano e l’Associazione di Medicina Solidale, un ambulatorio offre visite mediche.
Al caso della Capitale, va aggiunto tutto il lavoro fatto dalle Caritas diocesane e parrocchiali in tutto il Paese. Nelle mense si distribuiscono 6 milioni di pasti gratuiti all’anno e alle famiglie indigenti vengono pagate le bollette. Al luogo comune dell’“aiutateli a casa vostra” la Chiesa risponde così, e non solo, in silenzio. E a quello dell’“aiutateli a casa loro”, con il miliardo e 909 milioni di euro destinato al Terzo mondo dalla Cei da quando esiste l’8xmille, e con il lavoro quotidiano dei missionari, dei religiosi e dei sacerdoti fidei donum. L’elenco potrebbe continuare a lungo.
Allargandosi a tutta Italia, una delle voci persistenti è quella relativa al numero di case possedute. Tenendo conto della differenza tra la Città del Vaticano, uno Stato estero, e la Chiesa cattolica italiana, cosa che spesso si dimentica, si parla di 115.000 case di proprietà. Peccato che in questa cifra rientrino 70.000 strutture tra chiese, conventi, istituti, musei, oltre che spazi già adibiti a servizi di carità e assistenza ai poveri. I restanti immobili si devono comunque distribuire tra Cei, 226 diocesi, 25.000 parrocchie, centinaia di congregazioni religiose maschili e femminili e il Vaticano. L’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, possiede ad oggi 1.800 appartamenti a Roma e a Castel Gandolfo e 600 tra negozi e uffici. Circa il 60% di queste abitazioni è affittato ai dipendenti vaticani, a canone fortemente agevolato.
Poi, la Chiesa è favorita in materia di tasse, potendo contare su agevolazioni? Quello di cui non si tiene conto, è che tutto il mondo del non profit può godere di esenzioni previste dalla legge. È per questo che spesso l’Imu può essere non pagata.
Ma quando una tassa è dovuta, viene ovviamente corrisposta. Ad esempio, nel 2018 a Roma sono entrati nelle casse del Comune 5,4 milioni di euro per l’Imu e 338.000 euro per la Tasi, versati dal Vaticano per il suo patrimonio nella città. Questa situazione va replicata comune per comune, diocesi per diocesi.

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