Il Virus è una punizione di Dio ?

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Il flagello nel Nuovo Testamento

La lettura di eventi biblici come quello del disastroso censimento di Davide pone una sfida che non si ferma all’Antico Testamento. Anche il libro dell’Apocalisse utilizza l’immagine della peste.
Nel capitolo 16, una serie devastante di pestilenze, che ricordano quelle dell’Egitto, viene scagliata contro un popolo peccatore. Una voce celeste ordina a sette angeli: «Andate e versate sulla terra le sette coppe dell’ira di Dio» (Ap 16,1). E sul mondo viene lanciata «una piaga cattiva e maligna» (v.2); nel mare «si formò del sangue come quello di un morto» (v. 3); «i fiumi e le sorgenti delle acque[…] diventarono sangue» (v. 4); «gli uomini bruciarono per il terribile calore» (v. 9); «tenebre» (v. 10); «le acque [del grande fiume Eufrate] furono prosciugate» (v. 12); «enormi chicchi di grandine, pesanti come talenti, caddero dal cielo sopra gli uomini» (v. 21).
Questo è un resoconto sommario di alcuni dei cataclismi che vengono enumerati nel capitolo 16 dell’Apocalisse. E di nuovo si potrebbe desumerne la chiara punizione divina inflitta a un mondo senza fede. Quel testo, infatti, riporta tante immagini pronte a essere riprese e usate per flagellare quel mondo al quale i moderni profeti di sventura si sentono così estranei. Ma è proprio questo ciò che il testo intende dire al nostro mondo moderno, che soffre alle prese con l’attuale pandemia?
Se lo si estrapola dal contesto, il testo perde il suo significato principale. Nel libro dell’Apocalisse, come del resto nelle profezie apocalittiche anticotestamentarie, si intrecciano tre elementi: discernimento, chiarezza di visione e risposta.
Il libro cerca di discernere i tempi, il passato e il presente, delineando chiaramente le forze schierate in questo mondo e la posta in gioco, che comporta mettersi dalla parte di Dio.
In questo discernimento, i contorni del futuro vengono delineati con discrezione.
Il libro offre una visione basata sulla profonda fede nel fatto che Cristo ha già vinto la battaglia, e alla fine sconfiggerà il male, anche se lo scontro durerà a lungo.
Infine, il libro richiede una risposta, che non si risolve in una cupa profezia di sventura. Piuttosto, tutto dipende da come i credenti trasformano la propria vita alla luce della consapevolezza che alla fine Cristo sarà vittorioso.
Essi devono impegnarsi attivamente nel rendere testimonianza e a cambiare il mondo con risolutezza. È un appello ad agire, a contribuire a costruire il Regno attraverso l’imitazione di Gesù, mite agnello immolato per la salvezza del mondo.
Il libro dell’Apocalisse, posto alla fine del canone cristiano, ci spinge a una fede sempre più
profonda, a una conversione sempre più profonda, a una sempre più profonda nostalgia del regno di Dio.

Una missione per il tempo di prova oggi

Ai nostri tempi, l’Apocalisse ci ricorda che la Chiesa è chiamata a non assecondare una cultura dominante, intrisa di paura, di accuse, di chiusure e di isolamento.
Se il mondo offre una visione del futuro costruita sulla paura, la Chiesa, invece, ispirandosi alla Bibbia e al libro dell’Apocalisse che la conclude, offre una prospettiva diversa, animata e fondata sulla certezza della Buona Notizia della vittoria di Cristo.
Quando tutto sembra oscuro, il discepolo di Gesù è chiamato a irradiare la certezza che il tempo delle tenebre è limitato, che Dio sta venendo e che la Chiesa è chiamata con la preghiera e la testimonianza a preparare questa venuta. Ciò significa che la nostra lettura della parola di Dio nella Bibbia deve tradursi in un messaggio di Buona Notizia che richiama alla conversione un mondo in crisi, non in un giudizio moralistico o in una profezia di sventura. La Parola deve essere proclamata «per edificazione, esortazione e conforto»; non ci è stata affidata per maltrattare, prevaricare o opprimere lo spirito.
C’è un tema che attraversa la Bibbia cristiana dall’inizio alla fine: Dio non ha permesso, non
permette e non permetterà mai al peccato, all’oscurità e alla morte di prevalere.
Nella sua straordinaria benedizione Urbi et Orbi del 27 marzo scorso, papa Francesco ha saputo comunicare la Buona Notizia, ribaltando la tendenza a vedere la crisi come un giudizio di Dio. Rivolgendosi audacemente al Signore dall’interno del nostro mondo colpito dal Covid-19, ha detto: «Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta.
Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è.
È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri» (cfr 1 Cor 14,3).

David Neuhaus ( Parte 2 di 2 ; articolo da Civiltà Cattolica)

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