Caritas Ambrosiana. Emergenza profughi in Bosnia – Raccolta fondi straordinaria domenica 24 gennaio

In Bosnia e Erzegovina stiamo assistendo a una gravissima violazione dei diritti umani nei confronti dei migranti. La gestione del fenomeno migratorio nel paese balcanico, già molto fragile ormai da tempo, è infatti precipitata negli ultimi giorni. La chiusura del campo profughi “Bira” a Bihac (nord ovest del paese, nei pressi del confine con la Croazia), e il trasferimento forzato di circa 600 persone nella tendopoli di Lipa ha saturato la struttura e ha creato una tensione con l’IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) che gestisce su mandato dell’UE i centri di accoglienza e fornisce supporto al ministero di sicurezza bosniaco (responsabile delle migrazioni). Il campo Lipa era inizialmente pensato come una sistemazione provvisoria e si trovava già in condizioni largamente inadeguate per affrontare l’inverno: situato in una zona impervia di montagna, isolato da qualsiasi centro abitato e dalle strade principali, è senza acqua potabile, elettricità, riscaldamento. Il campo non più utilizzabile, interamente distrutto da un recente incendio, è l’unico riparo per le quasi 1500 persone rimaste al Lipa. I migranti hanno provato a spostarsi ma almeno 900 sono ancora intrappolati nell’altopiano, senza che sia stata presa una decisione sul loro destino da parte delle autorità locali. Nella città di Bihac, il centro di accoglienza temporanea “Bira” è ancora in perfetto stato di funzionamento, ma la popolazione locale, il sindaco della città e il premier cantonale si rifiutano di scendere a patti con Sarajevo e l’UE che più volte ha richiesto la riapertura temporanea del centro. In tutto questo scenario, stanno inoltre continuando anche i violenti respingimenti alla frontiera della polizia croata verso chi prova ad attraversare il confine per entrare nel territorio comunitario – prassi violente già molte volte denunciate anche al Parlamento Europeo. Ai migranti senza un tetto viene dunque impedito di provare anche a proseguire il proprio percorso migratorio e di cercare un riparo adeguato in un altro Paese. Il risultato finale di questa crisi politica, civile e istituzionale è la “catastrofe umanitaria” di cui parla IOM: 3.000 persone totalmente allo sbando, senza un posto dove stare, nel bel mezzo dell’inverno – che negli ultimi giorni ha portato le condizioni metereologiche più estreme: neve, temperature abbondantemente sottozero, gelate notturne. Le persone, costrette a muoversi nel fango o sotto la neve, vivono senza luce, acqua e servizi igienici e senza riparo.

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