La culla e il riflesso di Dio

«Poco dopo la nascita di suo fratello Andrea, la piccola Sachì chiese ai genitori di lasciarla sola con il neonato. Essi si preoccuparono che, come quasi tutti i bambini sui 4 anni, potesse essere gelosa e volesse picchiarlo o scuoterlo, per cui dissero di no. Ma Sachì non mostrava segni di gelosia. Trattava il bambino con gentilezza e continuò a chiedere di essere lasciata sola con lui. I genitori decisero di consentirglielo. Esultante, Sachì andò nella camera del bambino e accostò la porta, ma rimase una fessura aperta, abbastanza da consentire ai curiosi genitori di spiare e ascoltare. Videro la piccola Sachì andare tranquillamente dal fratellino, mettere il viso accanto al suo e dire con calma: “Per favore, dimmi come è fatto Dio. Perché io comincio a dimenticarmelo”».
Anche Andrea può parlarci di Dio. Non tanto nel senso romantico e ingenuo che porti un messaggio, ma nella convinzione che la freschezza del suo entrare nella vita riporta tutti all’essenziale, conduce l’adulto a riscoprire lo stupore dell’esistenza al di là di tanta abitudine. Chi lo sa guardare e si apre alla meraviglia della vita umana, si rende conto che anche il piccolo Andrea, con la sua fiducia incondizionata, con il suo abbandono totale e indifeso, con la sua stessa vita, ci dice di Dio. L’incanto che coglie tutti di fronte a questa creatura risveglia lo stupore per il dono della vita: inatteso e gratuito. Il suo dipendere in tutto, per ogni minima cosa, offre una lezione di vita. Lui ci ricorda Chi regge il mondo e con quanta cura lo faccia. Ci rammenta Chi ci sorregge ogni mattina. O potremmo dirlo semplicemente così: Andrea ci ricorda di Dio, delle nostre origini, di Casa. Con la sua stessa presenza è l’annuncio eloquente che solo l’amore può inventare una cosa così bella come la vita. Se un adulto sa ascoltare, anche la vita di un neonato gli parla di Dio.

Tratto da: Cecilia Pirrone; Francesco Scanziani, “I Figli ci parlano di Dio”.

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