Benedetto XVI e l’Islam

di Samir Khalil Samir, sj in ASIANEWS

Per papa Ratzinger le religioni si devono paragonare sulla cultura e la civiltà che esse generano. Per evitare il conflitto delle civilizzazioni l’Islam deve sganciarsi dalla violenza terrorista; l’occidente dalla violenza secolarista e atea. L’analisi di un grande esperto, che lo scorso settembre ha partecipato a un incontro a porte chiuse sull’Islam insieme al pontefice.
Beirut (AsiaNews) – Benedetto XVI è forse fra le poche personalità ad aver capito profondamente l’ambiguità in cui si dibatte l’islam contemporaneo e la sua fatica nel trovare un posto nella società moderna. Nello stesso tempo egli sta proponendo all’Islam una via per costruire la convivenza mondiale e con le religioni basata non sul dialogo religioso, ma culturale e di civiltà, basato sulla razionalità e su una visione dell’uomo e della natura umana che viene prima di qualunque ideologia o religione. Questo puntare al dialogo culturale spiega la sua scelta di assorbire il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso dentro al più grande Pontificio consiglio per la cultura.
Mentre il papa chiede all’Islam un dialogo basato sulla cultura, sui diritti umani, sul rifiuto della violenza, nello stesso tempo chiede all’occidente di ritornare ad una visione della natura umana e della razionalità in cui non si escluda la dimensione religiosa. In questo modo – e forse soltanto così – si potrà evitare un conflitto delle civiltà, trasformandolo invece in un dialogo fra le civiltà.

Il totalitarismo islamico è diverso dal cristianesimo.

Per comprendere il pensiero di Benedetto XVI e la religione islamica, occorre seguirne l’evoluzione. Un documento davvero essenziale si trova nel suo libro (scritto insieme a Peter Seewald nel 1996, quando era ancora cardinale), dal titolo “Il sale della terra”.
Egli mostra anzitutto che nell’Islam non c’è un’ortodossia, perché non c’è un’autorità, un magistero dottrinale comune. Questo rende il dialogo difficile: quando dialoghiamo, non dialoghiamo “con l’Islam”, ma con dei gruppi.
Ma il punto chiave che egli affronta è quello sulla sharia. Egli dice: “Il Corano è una legge religiosa che abbraccia tutto, che regola la totalità della vita politica e sociale e suppone che tutto l’ordinamento della vita sia quello dell’islam. La sharia plasma una società da cima a fondo. Di conseguenza, l’Islam può sfruttare le libertà concesse dalle nostre costituzioni, ma non può porre tra le sue finalità quella di dire: sì, ora siamo anche noi enti di diritto pubblico; ora siamo presenti [nella società] come i cattolici e i protestanti. A questo punto [l’Islam] non ha ancora raggiunto pienamente il suo vero scopo, si trova ancora in una fase di alienazione”,
che si potrà concludere solo con l’islamizzazione totale della società. Quando ad esempio un islamico si trova in un società occidentale, lui può godere o sfruttare alcuni elementi, ma non si identificherà mai con il cittadino non musulmano, perchè non si trova in una società musulmana.
Il cardinale Ratzinger ha visto quindi con chiarezza una difficoltà essenziale del rapporto socio-politico con il mondo musulmano, che viene dalla concezione totalizzante della religione islamica, profondamente diversa dal cristianesimo. Per questo egli insiste nel dire che non dobbiamo cercare di proiettare sull’Islam la visione cristiana del rapporto tra politica e religione. Ciò sarebbe difficilissimo: l’Islam è una religione totalmente diversa dal cristianesimo e dalla società occidentale e questo non rende facile la convivenza.
In un seminario a porte chiuse, tenuto a Castelgandolfo (1-2 settembre 2005), il Papa ha insistito e sottolineato la stessa idea: la profonda diversità fra Islam e cristianesimo. Stavolta è partito da un punto di vista teologico, tenendo conto della concezione islamica della rivelazione: il Corano “è disceso” su Maometto, non è “ispirato” a Maometto. Per questo il musulmano non si sente in diritto di interpretare il Corano, ma è legato a questo testo emerso in Arabia nel VII secolo. Questo porta alle stesse conclusioni di prima: l’assolutezza del Corano rende molto più difficile il dialogo, perché le possibilità di interpretazione sembrano escluse e comunque molto ridotte.
Come si vede, il suo pensiero da cardinale si prolunga nella sua visione come pontefice, che mette in luce le profonde differenze fra Islam e cristianesimo.
Il 24 luglio in Val d’Aosta, subito dopo l’Angelus, ad una domanda se l’islam può essere considerato una religione di pace, risponde: “Io non chiamerei questo in parole generiche, certamente l’Islam contiene degli elementi in favore della pace, come contiene altri elementi”. Anche se non in modo esplicito, Benedetto XVI fa comprendere che l’Islam soffre di ambiguità verso la violenza, giustificandola in vari casi. E ha aggiunto: “Dobbiamo sempre cercare di trovare gli elementi migliori”. Un altro chiede allora se gli attacchi dei terroristi possono essere considerati anticristiani. La sua risposta è netta: “No, generalmente l’intenzione sembra essere molto più generale e non precisamente diretta alla cristianità”.

Dialogo fra culture più fruttuoso del dialogo interreligioso.

A Colonia, il 20 agosto, papa Benedetto XVI ha il suo primo grande incontro con l’Islam, parlando con i rappresentanti della comunità musulmana. In un discorso relativamente lungo, egli dice:
“Sono certo di interpretare anche il vostro pensiero nel porre in evidenza tra le preoccupazioni quella che nasce dalla constatazione del dilagante fenomeno del terrorismo”.
Qui mi piace il fatto che lui coinvolga i musulmani, dicendo loro che abbiamo la stessa preoccupazione. Nel testo italiano, che ho paragonato col tedesco, ho trovato che manca una frase: “So che siete numerosi a rigettare con forza, anche pubblicamente, in particolare qualunque legame tra il terrorismo e la vostra fede e a condannarlo chiaramente”.
Più avanti dice che “il terrorismo di qualunque matrice esso sia, è una scelta perversa e crudele [una parola che ripete tre volte] che calpesta il diritto sacrosanto alla vita e scalza le fondamenta stesse di ogni civile convivenza”. Poi, di nuovo, viene a coinvolgere il mondo islamico:
“Se insieme riusciremo a estirpare dai cuori il sentimento di rancore, a contrastare ogni forma di intolleranza e ad opporci ad ogni manifestazione di violenza, fermeremo l’ondata di fanatismo crudele che mette a repentaglio la vita di tante persone, ostacolando il progresso della pace nel mondo. Il compito è arduo, ma non impossibile e il credente può arrivarci”.
Mi è piaciuto molto la sottolineatura sull’ “estirpare dai cuori il sentimento di rancore”: Benedetto XVI ha capito che una delle cause del terrorismo è questo sentimento di rancore. E più avanti:
“Cari amici sono profondamente convinto che, senza cedimenti alle pressioni negative dell’ambiente, dobbiamo affermare i valori del rispetto reciproco, della solidarietà e della pace”.
Ancora:
“abbiamo un grande spazio di azione in cui sentirci uniti al servizio dei fondamentali valori morali; la dignità della persona e la difesa dei diritti, che da tale dignità scaturiscono, devono costituire lo scopo di ogni progetto sociale, di ogni sforzo posto in essere per attuarlo”.
E qui viene una frase essenziale:
“è questo un messaggio scandito in modo inconfondibile dalla voce sommessa, ma chiara della coscienza”. “Solo sul riconoscimento della centralità della persona – continua il papa – si può trovare una comune base di intesa superando eventuali contrapposizioni culturali e neutralizzando la forza dirompente delle ideologie”.
Dunque, prima ancora della religione, c’è la voce della coscienza e tutti dobbiamo lottare per i valori morali, per la dignità della persona, la difesa dei diritti.
Per Benedetto XVI, perciò, il dialogo va basato sulla centralità della persona, che supera sia le contrapposizioni culturali sia le ideologie. E penso che sotto le ideologie si possano comprendere anche le religioni. Questa è una delle idee-forza del Papa: essa spiega anche perché ha unito il Segretariato per il dialogo interreligioso e il Consiglio per la cultura, sorprendendo tutti. La scelta nasce dalla sua profonda visione e non è, come si è detto nella stampa, per “far fuori” mons. Michael Fitzgerald, meritevole di molta riconoscenza. Forse c’è anche questo, ma non è lo scopo.
L’idea essenziale è che il dialogo con l’Islam e con le altre religioni non può essere essenzialmente un dialogo teologico o religioso, se non in senso largo di valori morali; esso deve invece essere un dialogo di culture e di civiltà.
Vale la pena ricordare che già nel lontano 1999 il card. Ratzinger ha partecipato ad un incontro con il principe Hassan di Giordania, il metropolita Damaskinos di Ginevra, il principe Sadruddin Aga Khan, morto nel 2003, e con il Gran Rabbino di Francia René Samuel Sirat. Musulmani, ebrei e cristiani erano invitati da una fondazione per il dialogo interreligioso e interculturale, a creare un punto di dialogo culturale fra di loro.
Questo passo verso il dialogo culturale è di estrema importanza. In tutti i dialoghi che si fanno con il mondo musulmano, appena si comincia a trattare temi religiosi, si inizia a parlare di palestinesi, Israele, Iraq, Afghanistan, insomma di tutti i conflitti politici o culturali. Con l’Islam non si riesce mai a fare un discorso squisitamente teologico: non si può parlare della Trinità, dell’incarnazione, ecc. Una volta a Cordoba, nel ’77 si è fatto un convegno sulla nozione di profezia. Dopo aver trattato del carattere profetico di Cristo come visto dai musulmani, un cristiano ha esposto il carattere profetico di Maometto dal punto di vista cristiano e ha osato dire che la Chiesa non lo può riconoscere come profeta; al limite potrebbe definirlo tale ma solo in un senso generico, come si dice che Marx è “il profeta” dei tempo moderni. Conclusione: abbiamo dovuto interrompere l’incontro e per tre giorni non si è parlato che di questo.
I momenti più fruttuosi nei miei incontri con il mondo musulmano sono stati quando si parlava di questioni interdisciplinari o interculturali. Ho partecipato più volte, invitato dai musulmani, a incontri interreligiosi in varie parti del mondo musulmano: sempre si è parlato di incontro di religioni e civiltà, o culture. Due settimane fa, a Isfahan (Iran), il titolo era “incontro di civiltà e religioni”. Il 19 settembre prossimo, alla Gregoriana a Roma, si terrà un incontro organizzato dal Ministero della cultura in Iran con l’Italia e anche questo avrà a tema l’incontro fra le culture, con la presenza dell’ex presidente Khatami.
Il Papa ha capito questo aspetto importante: discutere di teologia può avvenire solo tra pochi, ma non tra Islam e cristianesimo, certo non per il momento. Invece si tratta di affrontare il vivere insieme sotto gli aspetti concreti della politica, dell’economia, della storia, della cultura, delle usanze…

Razionalità e fede

Un altro fatto mi sembra molto importante. In un dialogo del 25 ottobre 2004 tra lo storico Ernesto Galli della Loggia e l’allora card. Ratzinger, ad un certo momento, il cardinale, parlando di teologia, ricorda i “semi del Verbo” e sottolinea l’importanza della razionalità nella fede cristiana, vista dai Padri come il compimento della ricerca di verità presente nella filosofia. Galli della Loggia allora dice: “La vostra speranza che è identica alla fede, porta con se un logos e questo logos può divenire un’apologia, una risposta che può essere comunicata agli altri”, a tutti.
Il cardinale Ratzinger risponde: “Noi non vogliamo creare un impero di potere, ma abbiamo una cosa comunicabile alla quale va incontro un’attesa della nostra ragione. È comunicabile perché appartiene alla nostra comune natura umana e c’è un dovere di comunicare da parte di chi ha trovato un tesoro di verità e amore. La razionalità era quindi postulato e condizione del cristianesimo, che rimane un’eredità europea per confrontarci in modo pacifico e positivo, sia con l’islam, sia con le grandi religioni asiatiche”.
Per lui, dunque, il dialogo è a questo livello, cioè fondato sulla ragione. Andando oltre, egli aggiunge:
“questa razionalità diventa pericolosa e distruttiva per la creatura umana se diventa positivista [e qui fa la critica all’occidente], che riduce i grandi valori del nostro essere alla soggettività, [al relativismo] e diventa così un’amputazione della creatura umana. Non vogliamo imporre a nessuno una fede che si può accettare solo liberamente, ma come forza vivificatrice della razionalità dell’Europa essa appartiene alla nostra identità”.
Qui viene la parte essenziale:
“è stato detto che non dobbiamo parlare di Dio nella costituzione europea, perché non dobbiamo offendere i musulmani e i fedeli di altre religioni. E’ vero il contrario – dice Ratzinger – ciò che offende i musulmani e i fedeli di altre religioni non è parlare di Dio o delle nostre radici cristiane, ma piuttosto il disprezzo di Dio e del sacro che ci separa dalle altre culture e non crea una possibilità di incontro, ma esprime l’arroganza di una ragione diminuita, ridotta, che provoca reazioni fondamentaliste”.
Benedetto XVI ammira nell’Islam la certezza basata sulla fede, in opposizione all’occidente, che relativizza tutto; e ammira nell’Islam il senso del sacro, che invece sembra essere sparito in occidente. Egli ha capito che il musulmano, non è offeso dal crocifisso, dai segni religiosi: questa è in realtà una polemica laicista che tende ad eliminare il religioso dalla società. I musulmani non sono offesi dai simboli religiosi, ma dalla cultura secolarizzata, dal fatto che Dio ed i valori che essi collegano con Dio sono assenti da questa civiltà.
Questa è anche la mia esperienza, quando ogni tanto chiacchiero con musulmani che lavorano in Italia. Mi dicono: in questo Paese c’è tutto, possiamo vivere come vogliamo, ma purtroppo non vi sono “principi” [è la parola che usano]. Questo è sentito molto dal papa, che dice: torniamo alla natura umana, basata sulla razionalità, sulla coscienza, che dà idea dei diritti umani; dall’altra non riduciamo la razionalità a qualcosa di impoverito, ma integriamo il religioso nella razionalità; il religioso è parte della razionalità.
In questo a me sembra che Benedetto XVI abbia meglio precisato la visione di Giovanni Paolo II. Per il papa polacco il dialogo con l’Islam doveva aprirsi alla collaborazione su tutto, anche nella preghiera. Benedetto mira a punti più essenziali: la teologia non è ciò che conta, almeno non in questa fase storica; importa il fatto che l’Islam è la religione che si sta sviluppando di più e che diviene sempre più un pericolo per l’occidente e per il mondo. Il pericolo non è l’islam in genere, ma una certa visione dell’Islam che non rinnega mai apertamente la violenza e genera terrorismo e fanatismo. D’altra parte egli non vuole ridurre l’Islam a un fenomeno socio-politico. Il papa ha capito profondamente l’ambiguità dell’Islam, che è insieme l’uno e l’altro, che talvolta gioca su uno o sull’altro fronte. E lancia la proposta che se vogliamo trovare una base comune, dobbiamo uscire dal dialogo religioso per mettere fondamenti umanistici a questo dialogo, perché solo questi sono universali e comuni a tutti gli esseri umani. L’umanesimo è un fattore universale, le fedi possono essere fattori di scontro e divisione.

Sì alla reciprocità, no al buonismo

La posizione del papa non cade mai nella giustificazione del terrorismo e della violenza. Talvolta anche fra personalità ecclesiali, si scivola in un relativismo generico: in fondo la violenza c’è in tutte le religioni, anche fra i cristiani; oppure: la violenza è giustificata come risposta ad altre violenze… No, questo papa non ha mai fatto allusioni del genere. E d’altra parte egli non cade nemmeno nell’atteggiamento di certo cristianesimo occidentale segnato dal buonismo e dai complessi di colpa. Di recente, tra i musulmani, c’è chi ha domandato che il Papa chieda scusa per le crociate, il colonialismo, i missionari, le vignette, ecc.. Lui non cade in questa trappola, perché sa che le sue parole potrebbero essere utilizzate non per costruire un dialogo, ma per distruggerlo. Questa è l’esperienza che noi abbiamo del mondo musulmano: tutti questi atti, molto generosi e profondamente spirituali di chiedere perdono per i fatti storici del passato, sono strumentalizzati, e vengono presentati dai musulmani come una rivincita: ecco – dicono – lo riconoscete voi stessi, siete colpevoli. Questi fatti non suscitano mai una reciprocità.
A questo proposito, vale la pena ricordare il discorso di Benedetto XVI all’ambasciatore del Marocco ( 20 febbraio 2006), quando ha fatto un’ allusione, al “rispetto delle altrui convinzioni e pratiche religiose, affinché in maniera reciproca, in tutte le società, sia realmente assicurato a ciascuno l’esercizio della religione liberamente scelta”. Sono due piccole affermazioni, ma importantissime sulla reciprocità dei diritti di libertà religiosa fra paesi occidentali e islamici e sulla libertà di cambiare religione, un fatto proibito nell’Islam. Il bello è che egli ha osato farle: nel mondo politico ed ecclesiale spesso si ha paura di accennare a queste cose. Basta vedere il silenzio che vige sulle violazioni alla libertà religiosa presenti in Arabia Saudita.
Mi piace molto questo papa, il suo equilibrio, la sua chiarezza. Egli non fa nessun compromesso: continua a sottolineare la necessità di annunciare il vangelo in nome della razionalità e dunque non si lascia influenzare da chi teme e denuncia un preteso proselitismo. Il papa chiede sempre le garanzie perché si possa “proporre” la fede cristiana e perché essa possa essere “liberamente scelta”.

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