La Chiesa del domani (Parte 2)

La Chiesa di Milano e la diminuzione dei suoi preti
Criteri e scelte possibili per governare e non subire il cambiamento – che sarà inevitabile – della presenza ecclesiale sul territorio
di Paolo Brambilla e Martino Mortola docenti di teologia

Pensiamo che nel prossimo futuro si giungerà inevitabilmente a un cambiamento della presenza ecclesiale sul territorio e si tratterà di scegliere se subirlo o governarlo. La scelta non è scontata, perché governare il cambia-mento consuma molte più energie. Vorremmo qui accennare ad alcuni criteri e alcune scelte possibili. Un primo criterio crediamo sia una rinnovata coscienza dell’importanza dei pastori. Senza clericalismo ma piuttosto seguendo una sana ecclesiologia, riteniamo sia necessario permettere ai presbiteri di operare in contesti a misura d’uomo. Se vi sono pochi preti si dovrà discernere quali realtà potranno essere accompagnate da un pastore e cosa sia bene dismettere perché non più utile alla missione della Chiesa locale. Un’obiezione usuale è che non è bene strutturare la Chiesa guardando al numero dei presbiteri; la risposta a questa obiezione è che le forme di aggregazione del popolo di Dio sono molteplici e non tutte richiedono d’essere guidate da ministri ordinati. Qui si vuole trattare solo delle parrocchie, ossia le comunità locali generate dai sacramenti dell’iniziazione cristiana e radunate attorno all’eucaristia, in cui il sacerdote è essenziale (LG 28). Un secondo elemento è una sana considerazione del ruolo dei laici. Il Concilio ha espresso chiaramente l’indicazione dell’indole secolare del laicato (LG 31). Se si tratta di accogliere con entusiasmo il rinnovato impulso riguardo ai ministeri battesimali, deciso da papa Francesco e accompagnato dalla nota della Cei, si tratta anche di esplicitare che i ministri laici sono chiamati a una comunione effettiva con i ministri ordinati. Pensare ai laici come sostituti dei presbiteri quando questi ultimi vengono a mancare, da una parte non rispetta il dettato conciliare, dall’altra ci pare idealizzi la disponibilità e la formazione laicale. Essi hanno il diritto di vivere la loro appartenenza alla Chiesa senza dover condurre pastoralmente le parrocchie, che include responsabilità notevoli. Dopo questi criteri ci spingiamo a proporre un principio che può apparire stridente nell’attuale impostazione: un pastore sia, a nome del vescovo, guida di una sola comunità, in grado di raccogliersi in un’unica sinassi eucaristica.
A partire da questo principio e da quanto detto sopra, presentiamo alcune proposte.
perché un parroco abbia una sola comunità si tratterà, purtroppo, di diminuire il numero delle parrocchie. Questa strada è già stata percorsa in Francia negli ultimi decenni (dove molte diocesi sono passate da 500 a 50 parrocchie) e si sta attuando per la prima volta in Italia a Spoleto – Norcia (da 71 a 16 parrocchie). Questa non deve apparire una ritirata o una resa, ma la possibilità di avere luoghi di qualità sul territorio. meno presbiteri, meno fedeli, meno entrate economiche: si tratta di ridurre le realtà affinché nei loghi rimasti si celebri bene, il parroco sia facilmente incontrabile, si viva una pastorale unitaria e coordinata e vi siano strutture e istituzioni belle e funzionali, dove la comunità possa riunirsi a celebrare una sola eucaristia e un solo triduo pasquale. Ciò può trovare diverse applicazioni. Molti paesi della diocesi di Milano, che hanno 15-20 mila abitanti, un solo comune, un unico centro e sono già comunità pastorali funzionanti, possono essere riunite in un’unica parrocchia. A Milano, e in altre grandi città dell’hinterland dove vi sono parrocchie geograficamente vicine, si tratterà di diradare il numero di parrocchie, magari costituendo precedentemente una comunità pastorale per poi costituire un’unica parrocchia. In entrambi i casi si potranno e dovranno di-smettere le strutture non più necessarie per la vita della nuova realtà. Più difficile è il contesto della provincia dove si trovano piccoli paesini di dimensioni simili tra loro, in cui l’idea di creare un’unica parrocchia lascerebbe molte persone senza facile accesso alla celebrazione eucaristica. Crediamo che qui si tratti di rinunciare ad alcune parrocchie che non hanno più una vitalità e fare in modo che un parroco abbia fino a due parrocchie, al massimo tre, perché sia realmente accanto alla gente. Perché il processo di riorganizzazione non appaia un’operazione subita, è importante rendere le comunità protagoniste del loro futuro. Ci pare sensato avvertire le parrocchie a cui non si potrà più assicurare un parroco. Esse andranno accompagnate in un discernimento comunitario, che potrebbe avere come esito una richiesta al vescovo. Si potrebbe arrivare a chiedere di fondersi con altre parrocchie, come detto sopra, con un solo parroco e un solo centro parrocchiale, dove si celebra l’eucaristia e l’iniziazione cristiana. Le strutture sarebbero incorporate nell’unica parrocchia. Dall’altra parte si potrebbe chiedere di rimanere comunità indipendente, senza parroco e quindi non più parrocchia, divenendo una comunità territoriale laicale con a guida un’équipe di laici. Importante è sgravare i presbiteri da tante incombenze, per poter vivere il loro ministero in pienezza e tornare a essere generativi e creativi.

La Chiesa del domani (Parte 1)

A Milano sempre meno ordinazioni sacerdotali e meno ingressi in Seminario.
di Paolo Brambilla e Martino Mortola docenti di teologia.

In maggio, per alcuni giorni, la ricerca condotta dai professori del Seminario di Milano, insieme ad alcuni docenti della Cattolica, ha destato un profondo interesse sulla stampa nazionale. Uno degli elementi evidenziati è stata la previsione circa il numero dei preti attesi nella diocesi di Milano per l’anno 2040, che vedrà un calo di quasi il 35%. Per la verità, le previsioni delineate e l’analisi statistico-demografica che corredalo studio non contiene nulla che non sia conosciuto da tempo. Anzi. Ogni presbitero di Milano sa che il numero delle ordinazioni è in costante calo. L’obiettivo dello studio, però, non è la diffusione di numeri pessimistici: abbiamo voluto partire da una seria presa di coscienza della realtà perché si possano prendere decisioni per la costruzione della Chiesa del futuro.
Per approfondire rimandiamo al testo edito da Ancora: Un popolo e i suoi presbiteri. La Chiesa di Milano di fronte alla diminuzione dei suoi preti.
Qui vorremmo soffermarci su due aspetti: una sintesi dei dati raccolti e il riconoscimento di un momento faticoso per i presbiteri della nostra Chiesa. Prima di tutto si tratta di dire qualcosa sulla popolazione della diocesi. Se siamo al corrente della decresciti demografica italiana, si tratta di considerarla per aver presente la composizione delle nostre comunità nel futuro. Mentre oggi gli anziani (over 65) sono meno del doppio dei ragazzi (0-14 anni), nel 2050 diverranno più del triplo. Questa ci pare una considerazione importante anche per alcune scelte sulle strutture della Chiesa. La diminuzione dei nati, insieme alla minor partecipazione alla vita ecclesiale, ha già causato un calo nei sacramenti celebrati. Se tra il 1995 e il 2005 i battezzati in diocesi erano circa 37 mila, oggi si attestano a 20 mila. Per ora il numero di prime comunioni e cresime appare stabile, ma si verificherà anche una loro decrescita. In ottica pastorale è interessante notare che vi è ancora un buon numero di ragazzi che si avvale dell’insegnamento della religione cattolica, seppur all’interno di un trend discendente. Passiamo ora ai numeri del clero, che sono un aspetto significativo della ricerca. Un appunto: le previsioni sono state costruite a partire da una stima statistica delle nuove ordinazioni. Esse dovrebbero calare, nel corso dei prossimi vent’anni, da una media di 15 ordinazioni annuali a 10 nel 2040. Tuttavia la pandemia ha stravolto ogni previsione, in quanto gli ingressi in Seminario sono stati 16 nel 2020, 11 nel 2021, 6 nel 2022 e il numero atteso per il 2023 è simile.
Si tratta quindi, purtroppo, di prendere i numeri previsti come ottimistici. Fino a oggi, almeno nella diocesi di Milano, chi ha faticato maggiormente di fronte alla diminuzione del clero sono stati i preti stessi. Cerchiamo di spiegarci. All’inizio del XX secolo il numero dei sacerdoti diocesani e dei fedeli è aumentato progressivamente e con essi il numero delle parrocchie. Poi, dagli anni ’70, hanno cominciato a diminuire i presbiteri ma non, ovviamente, il numero delle parrocchie. Nella diocesi di Milano, nel 2006, sono nate le Comunità pastorali, che hanno cambiato il volto organizzativo della diocesi, con una proposta forte di pastorale d’insieme: un unico prete diviene parroco di più parrocchie che sono chiamate così a un cammino comune.
Nelle parrocchie, tuttavia, non si è modificato molto, anzi, si è cercato di mantenere celebrazioni, funerali, catechesi, attività estive. Certo, vi sono stati alcuni accorpamenti, ma non senza dissensi e opposizioni che, da un certo punto di vista, sono anche giustificabili, non essendo venuto meno il diritto di essere parrocchia. Per i fedeli delle singole parrocchie la condivisione del parroco con altre realtà ha spesso creato una fatica “ricettiva”: si ha un diritto, lo si desidera ma non si ottiene di conseguenza. Dal punto di vista dei pastori, invece, la fatica è stata attiva e di responsabilità. Il parroco di più parrocchie deve lavorare e muoversi senza sosta, assicurando i servizi essenziali e cercando di fare il possibile per mantenere vive le singole realtà. E alcune lamentele tornano puntualmente: «Non ci sei mai», “Sei sempre di là», «Era meglio prima». Il parroco non può rispondere «Non è vero», ma solamente «Riesco a fare solo così». Per questo la vita di molti parroci, e di preti giovani responsabili di più oratori, è caratterizzata da molta frustrazione e un certo disincanto: il prete si impegna a donare la vita per il suo gregge nel ministero e si sente dire costantemente: “Così non va».
Crediamo sia arrivato il momento di mettere i presbiteri nelle condizioni di fare meglio, riducendone gli impegni. Il carico di lavoro delle 1.107 parrocchie è già sproporzionato rispetto al numero effettivo dei presbiteri attuali, che diminuiranno costantemente nei prossimi anni. Si tratta di individuare cammini possibili e concreti, che necessariamente dovranno mettere in discussione la struttura parrocchiale.

Calano i fedeli praticanti

In Italia negli ultimi vent’anni il numero di chi partecipa regolarmente a un rito religioso si è quasi dimezzato.
In Italia, chi partecipa a un rito religioso almeno una volta alla settimana è circa il 19% della popolazione, mentre il 31% non frequenta un luogo di culto se non in occasioni di eventi particolari come battesimi, matrimoni e funerali. L’altra metà degli abitanti vi si reca in modo discontinuo: una volta al mese, qualche volta l’anno, nelle grandi festività. Negli ultimi vent’anni, dunque, il numero dei praticanti regolari si è quasi dimezzato dal 36% del 2001 e i non praticanti sono ormai raddoppiati, con il sorpasso che è avvenuto in un non sospetto 2018. Questi dati, riportati da SettimanaNews, provengono da un’indagine dell’Istat – la più recente, rappresentativa e attendibile che ci sia sulla pratica religiosa nel nostro Paese – e si riferiscono al 2022 (anno libero dalle restrizioni pandemiche) e a tutte le confessioni. Considerando che oggi circa il 70% degli italiani si dichiara cattolico, queste cifre possono essere considerate uno specchio del fenomeno nella Chiesa. La riduzione ha coinvolto tutte le classi di età, ma in modo molto marcato la fascia tra i 14 e i 24 anni. Il calo di adolescenti e giovani nella pratica religiosa regolare è stato addirittura di oltre i due terzi, a fronte di una diminuzione della metà tra gli adulti maturi e del 30-40% tra gli anziani. Negli ultimi vent’anni, gli adolescenti sono passati dal 37% al 12% e i giovani adulti dal 23% all’8%. La loro disaffezione alla frequentazione dei riti sacri viene da lontano, con gli anni segnati dal Covid-19 che le hanno inferto un’ulteriore accelerata. Da questa indagine, si evince dunque che l’appuntamento settimanale in un luogo di culto (per i cattolici la messa domenicale) attrae sempre di meno, con la pandemia che ha accelerato questo andamento di lungo periodo. In Italia ci sono inoltre da considerare differenze territoriali e di genere. Al Sud i praticanti regolari sono il 23% degli abitanti delle regioni meridionali, al Centro-Nord il 17% di quelli delle regioni centro-settentrionali. Poi, la frequenza costante è appannaggio delle donne per il 22% della popolazione femminile, degli uomini per il 15% della popolazione maschile. In generale, il calo della pratica religiosa coinvolge tutti i Paesi occidentali, anche con percentuali di molto superiori a queste: questo rappresenta una prova vitale per la Chiesa e ogni confessione.

Centro di ascolto Caritas parrocchiale “ Di mano in mano”

In occasione della giornata diocesana della Caritas Ambrosiana, domenica 5 novembre, pubblichiamo una breve relazione dell’anno 2023 del centro di ascolto della Caritas parrocchiale.

Nel 2023 le famiglie aiutate dal Centro d’Ascolto Caritas sono state in media una ventina (più o meno come nel 2022). La frequenza di consegna delle borse è principalmente quindicinale. Tutte le famiglie seguite risiedono nel nostro Comune. Il 50% di loro è di origine italiana. I problemi che li hanno portati al centro sono la perdita di lavoro, la mancanza di alloggio, situazioni di fragilità (fisica e psichica).
Per poter far fronte alle esigenze di queste famiglie, oltre alla raccolta mensile di offerte e alimenti presso la nostra Chiesa, riceviamo regolarmente 5 pacchi alimentari mensili donati dal gestore della mensa scolastica, 6 pasti gratuiti a pranzo, alcuni pasti serali ritirati presso la mensa “Non di solo pane” di Magenta e qualche pacco donato in occasione della colletta alimentare.
Nel mese di Ottobre in collaborazione con l’Amministrazione Comunale e i rappresentanti del palio dei rioni – che hanno distribuito l’avviso casa per casa – verrà fatta una raccolta straordinaria di alimenti presso il Centro socio-culturale di via Piave.
Come sempre il nostro grazie di cuore va a tutte le persone che con costanza assicurano il loro aiuto e ci permettono di continuare la nostra opera, facendo sentire la presenza e la vicinanza della comunità parrocchiale ai fratelli in difficoltà.

Portare i fiori ai morti

Gli alberi si spogliano delle foglie e le lasciano cadere a terra, appaiono nebbie mattutine sempre più lente a dissolversi e anche in noi emergono sentimenti velati di oscurità… È autunno inoltrato, è ora di pensare ai nostri morti. Forse per contrastare questa spoliazione in atto, che rende la terra desolata, noi rendiamo alcuni lembi di terra, i cimiteri, simili a prati primaverili in fiore, che con i loro colori trasformano un “campo santo” in una tavolozza che richiama i tramonti, con tonalità penitenziali, violacee o pallide. Resto sempre stupito da questo ripetersi fedele di gesti che si concentrano ogni anno nel giorno di domani, vigilia dei “morti”. Andiamo ai cimiteri, puliamo le tombe imbrattate dalle intemperie, portiamo fiori e anche fiammelle, per creare un’atmosfera vissuta già prima, quando eravamo tutti insieme sulla terra. Perché anche nelle tombe preistoriche troviamo sempre “fiori” accanto ai morti, deposti dai parenti, da chi dava sepoltura a chi aveva cessato di vivere? Certamente perché da sempre gli umani contraggono un debito verso i morti. Ma che cosa dobbiamo loro? Come pagare il nostro debito ora che non sono più con noi? Proprio dal sentire un debito di riconoscenza, gratitudine, scaturisce in noi il dovere di compiere un gesto, dare un segno che siamo umani dotati di memoria, capaci di ricordare e conservare fili di relazione e pepite di amore da scambiare con chi non c’è più. Se qualcosa abbiamo ricevuto dobbiamo riconoscerlo, perché chi ci ha preceduto ci ha fatto venire al mondo, ci ha fatto crescere, ci ha amato, ha significato qualcosa di buono per la nostra vita. Nessuno è esentato e non trova motivo per dire un grazie a qualcuno. Anche per portare a termine i nostri doveri verso le generazioni future occorre essere esercitati al riconoscimento dei doveri che abbiamo verso chi ci ha preceduto. Ciò che abbiamo ricevuto lo dobbiamo trasmettere… e possibilmente un po’ meglio. Chi fa tabula rasa del passato e sente la vocazione del rottamatore (attualmente tanto esercitata dalla generazione di mezzo) lascia macerie dietro di sé, e spesso continua ad agitarsi perché non riesce a vedere il deserto che si è creato intorno. Sì, ci sono alcuni che pensano di non aver ricevuto nulla, e quindi di non aver nulla da dare, ma in questa incapacità di donare e accogliere i doni ricevuti sta nient’altro che la loro disperata solitudine. Il gesto semplice di andare a scegliere un fiore, di portarlo sulla tomba e offrirlo al morto è un gesto di grande umanità, è usare un linguaggio non verbale per dire a chi non c’è più che l’amore continua, la memoria è viva, e che nel cuore c’è riconoscimento e gratitudine, l’assolvimento di un dovere. Un amico morto resta un amico sempre, un nemico morto non è più un nemico. E chi porta un fiore al cimitero spero l’abbia portato anche mentre l’altro era ancora in vita. I morti non vanno uccisi, ma neanche i vivi devono essere dimenticati.

Enzo Bianchi