La preghiera e la speranza di Gesù di fronte ai ritardi di Dio.
Questa condizione, tipica dell’orante biblico, non è estranea all’esperienza dello stesso «Cristo Gesù nostra speranza» (1Tm 1,1), che ha vissuto il mistero della passione, della morte e della resurrezione, e di conseguenza del cristiano. Gesù, infatti, più di tutti i giusti dell’AT, ha vissuto lo scandalo dei ritardi di Dio. E il battezzato, immerso in lui, non può sottrarsi a questa logica. Gesù ha pregato molto spesso. Ha passato persino notti intere in preghiera (Lc 6,12). Ma prega soprattutto nei momenti più critici della sua vita terrena, quando la tentazione assale anche lui. Egli affronta la tentazione pregando, soprattutto l’ultima tentazione nell’orto degli ulivi e sulla croce. Gesù aveva detto: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 4,34). Quando, durante la passione bisogna fare questa volontà, si scatena il dramma. Si apre un confronto sanguinoso con la volontà del Padre. Non appena infatti tenta di vivere questa obbedienza nella sua natura umana, scoppia la crisi. Il suo corpo l’abbandona, suda sangue e acqua, muore. E Gesù affronta questo confronto sanguinoso con la volontà del Padre pregando: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26,39): È pregando che Gesù ha sostenuto questa lotta ed è stato esaudito al di là della morte. Sulla croce la tentazione si fa ancora più insidiosa. Qui viene schernito su ciò che gli sta più a cuore, ciò per cui è venuto: la salvezza. Con sarcasmo gli viene detto: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto… Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso» (Lc 23,35. 37). Gesù non nasconde l’angoscia e pregando fa suo il grido del salmista: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). Gesù sente improvvisamente l’assurdità della sua morte e dell’incomprensibile assenza del Padre. Egli sperimenta fino in fondo di come sia difficile cambiare il cuore, la vita degli uomini, ma questo non lo porta alla disperazione, perché egli sa che il regno di Dio è là dove non si da ritorno su di sé, non si da dimostrazione di potenza, ma comunione con Dio e desiderio di rendere tutti, anche nel più profondo dolore, partecipi della gioia di Dio. A partire da questa situazione drammatica, quindi, Gesù continua a credere, contro ogni speranza umana, che il Padre nonostante tutto lo ama. E lo ama, non senza la morte, neppure sfuggendo alla morte, ma mediante la morte per una vita nuova. In questa prova senza misura, sull’orlo della disperazione, la preghiera di Gesù ha saputo pronunciare il suo sì alla volontà del Padre. La sua preghiera è un bacio d’amore nel quale egli consegna il suo ultimo respiro: «Padre nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).
Gesù accetta di lasciarsi andare… nelle mani di suo Padre. È un abbraccio che non sfocia nella morte, ma nell’Amore, nella resurrezione. Egli dalla croce consegna il suo spirito (Gv 19,30), il suo respiro al Padre, ma lo consegna anche a noi, come bacio d’amore, perché anche noi possiamo vivere del suo soffio vitale del suo respiro e perché anche a noi sia concesso vivere la stessa speranza e lo stesso abbandono nel progetto del Padre. Gesù con il suo corpo risuscitato, è ora la Via della speranza. E lo è perché è colui che prima di tutto, pregando, ha attivamente sperato nell’oscurità della nostra storia.