Cattolici, politica e bene comune

Quale società vogliamo costruire per il nostro futuro? Quali valori la devono ispirare e guidare? Quale ruolo possono giocare i credenti all’interno delle moderne democrazie?

Non vi è dubbio che tra i temi importanti che oggi toccano da vicino la coscienza dei cristiani ci sia sicuramente quello riguardante l’agire politico e le modalità con cui esercitare questo compito, in vista della realizzazione del bene comune possibile in un dato momento storico e in una data circostanza. Dall’inizio dell’impegno diretto dei cattolici in politica, è bene fare il punto della situazione, riscoprendo le fonti e le ragioni di tale responsabilità e riconoscendo gli snodi nevralgici che hanno caratterizzato questo cammino non solo a livello italiano, ma anche europeo. In un frangente storico nel quale simboli religiosi vengono branditi come amuleti e devozioni molto radicate fra la gente vengono strumentalmente adoperate per fini elettorali durante i comizi di piazza – come poche volte è accaduto nella storia del nostro Paese –, è necessario ritornare a interrogarsi profondamente sul senso dell’impegno pubblico e riaffermare ancora una volta la laicità delle Istituzioni e la conseguente distinzione del piano politico dal piano religioso. Sono conquiste e progressi compiuti nella storia e dai quali non possiamo arretrare. Fin dalle origini dell’umanità, infatti, la politica è l’istituzione sociale per eccellenza, che in modo più diretto e a vasto raggio influisce sul vivere civile. Anche nella Bibbia – a partire da Gen 1,28 – l’impiego e l’utilizzo del mondo sono stati visti come un mandato e uno specifico invito di Dio all’uomo. Si tratta del compito precipuo che spetta ai laici, affermato nella Costituzione conciliare Lumen Gentium al n. 31: «Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio». In maniera ancor più approfondita e specifica, Gaudium et spes precisa come la missione della Chiesa nell’ordine temporale debba tener conto delle leggi che governano le realtà terrene, le quali mantengono una loro autonomia rispetto al fine ultimo e sulle quali valgono soprattutto la competenza e la capacità dei laici. L’impegno politico, infatti, trova nella coscienza dei laici convenientemente formata il perno per «inscrivere nella vita della città terrena la legge divina» (GS, n. 43).
Com’è stato osservato da diversi studiosi, la coscienza rettamente formata rappresenta l’orizzonte più ampio di autonomia che il Concilio riconosce ai laici cristiani e al loro agire. A partire dai Vangeli e grazie al Concilio e i suoi documenti, la Chiesa ha bandito l’integrismo come atteggiamento che pretende di derivare direttamente dalla fede – senza nessun tipo di mediazioni culturali e partitiche – i contenuti e i modi dell’azione politica, riconoscendo nello stesso tempo una sfera pubblica di confronto con tutte le posizioni. Anche in questo caso, siamo di fronte ad una conquista non scontata che va difesa e argomentata rispetto ai tentativi preoccupanti e nostalgici di ritorno a stagioni in cui «potere temporale» e «potere spirituale» andavano a braccetto. In parole semplici, la cura del bene comune non può che passare dal metodo della «mediazione culturale». Il venerabile Lazzati ne ha dato una bella definizione: «La mediazione culturale non vuole dire diminuzione, bensì pienezza di cultura autentica in cui non si perda affatto la propria identità di cristiani, ma si sia capaci di capire i valori umani e di vedere come essi si possono realizzare gradualmente». Strumento principe della mediazione culturale è il dialogo, il «saper costruire ponti», cioè la capacità di saper ascoltare e di saper parlare con gli altri, senza alimentare rabbia e paura, ma alimentando realismo e speranza. La comunità cristiana ha oggi su di sé una grande responsabilità: quella di ri-abituare al dialogo e all’ascolto fra cristiani e quella di aprirsi al dialogo con coloro che hanno lasciato la Chiesa o con coloro che non l’hanno mai conosciuta e accettata, senza la pretesa e la fretta di convertire a tutti i costi. In un contesto globale caratterizzato dal risorgere di populismi e interessi nazionali, indifferenza verso i deboli, crisi della democrazia rappresentativa e delle istituzioni sovranazionali, i cattolici hanno responsabilità chiare e urgenti per contribuire a costruire una società più fraterna e un mondo più giusto.

Alberto Ratti

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