Messaggio per la 57.ma Giornata Mondiale della Pace

Da una parte, “entusiasmanti opportunità” come il miglioramento del lavoro, delle condizioni di vita dei popoli, degli strumenti medici e delle interazioni personali; dall’altra, “gravi rischi”, come l’uso sregolato delle cosiddette armi “intelligenti”, il conseguente pericolo di attacchi terroristici, andando così a promuovere “la follia della guerra” o interventi volti a destabilizzare istituzioni di governo legittime, arrivando, ad esempio, a condizionare elezioni politiche. Vizi (possibili ed effettivi) e virtù dell’IA e delle nuove tecnologie il Papa le pone sul piatto della bilancia nel suo Messaggio per la 57.ma Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il 1° gennaio 2024. “Intelligenza artificiale e pace” è il titolo del documento in cui il Pontefice porge i suoi auguri di pace – quanto mai pregnanti in un mondo lacerato dalle guerre – al popolo di Dio, alle nazioni, ai capi di Stato e di Governo, ai rappresentanti delle diverse religioni e della società civile.

No alla follia della guerra.

È una pace, quella di cui parla il Papa, che passa anche attraverso il progresso della scienza e della tecnologia, che “nella misura in cui contribuisce a un migliore ordine della società umana”, porta “al miglioramento dell’uomo e alla trasformazione del mondo”. Di contro, questo stesso mondo divenuto scenario di una terza guerra mondiale a pezzi “non ha proprio bisogno che le nuove tecnologie contribuiscano all’iniquo sviluppo del mercato e del commercio delle armi, promuovendo la follia della guerra. Così facendo – scrive Francesco – non solo l’intelligenza, ma il cuore stesso dell’uomo, correrà il rischio di diventare sempre più ‘artificiale’”.

Straordinarie conquiste.

Nel Messaggio Jorge Mario Bergoglio plaude alle “straordinarie conquiste della scienza e della tecnologia”, grazie alle quali “si è posto rimedio a innumerevoli mali che affliggevano la vita umana e causavano grandi sofferenze”. Allo stesso tempo, tali progressi tecnico-scientifici “stanno mettendo nelle mani dell’uomo una vasta gamma di possibilità”, e alcune – ammonisce il Papa – possono rappresentare “un rischio per la sopravvivenza e un pericolo per la casa comune”.
La libertà e la convivenza pacifica sono minacciate quando gli esseri umani cedono alla tentazione dell’egoismo, dell’interesse personale, della brama di profitto e della sete di potere.

Sistemi d’arma autonomi letali.

Lo sguardo è sullo scenario internazionale: “La possibilità di condurre operazioni militari attraverso sistemi di controllo remoto ha portato a una minore percezione della devastazione da essi causata e della responsabilità del loro utilizzo, contribuendo a un approccio ancora più freddo e distaccato all’immensa tragedia della guerra”, scrive il Papa. È “grave motivo di preoccupazione etica” la ricerca sulle tecnologie emergenti nel settore dei cosiddetti “sistemi d’arma autonomi letali”, incluso l’utilizzo bellico dell’intelligenza artificiale.
Mai, afferma, i sistemi d’arma autonomi potranno essere “soggetti moralmente responsabili”. Una macchina, per quanto intelligente, “rimane pur sempre una macchina”. È “imperativo”, allora, “garantire una supervisione umana adeguata, significativa e coerente dei sistemi d’arma”.
Non possiamo nemmeno ignorare la possibilità che armi sofisticate finiscano nelle mani sbagliate, facilitando, ad esempio, attacchi terroristici o interventi volti a destabilizzare istituzioni di governo legittime.

Pavimentare le vie della pace.

Le più avanzate applicazioni tecniche andrebbero quindi impiegate “per pavimentare le vie della pace”: “In un’ottica più positiva, se l’intelligenza artificiale fosse utilizzata per promuovere lo sviluppo umano integrale, potrebbe introdurre importanti innovazioni nell’agricoltura, nell’istruzione e nella cultura, un miglioramento del livello di vita di intere nazioni e popoli, la crescita della fraternità umana e dell’amicizia sociale”, sottolinea il Pontefice. In questo senso parla di una “algor-etica”, quale “sviluppo etico degli algoritmi” nella sperimentazione, progettazione, produzione, distribuzione e commercializzazione. Fasi in cui “le istituzioni educative e i responsabili del processo decisionale hanno un ruolo essenziale da svolgere”.

Un trattato su uso e sviluppo dell’IA.

Più volte il Papa nel suo Messaggio esorta a controlli e supervisioni di tali processi. E lancia la proposta alla
Comunità internazionale a “lavorare unita al fine di adottare un trattato internazionale vincolante”, che regoli lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale nelle sue molteplici forme, tenendo conto della voce di tutte le parti interessate, compresi coloro che sono emarginati dal dibattito globale.

Profonde trasformazioni.

Tante, troppe, infatti, le “profonde trasformazioni” che le nuove tecnologie hanno già apportato nel campo della comunicazione, della pubblica amministrazione, dell’istruzione, dei consumi, delle interazioni personali e in innumerevoli altri aspetti della vita quotidiana.
Le tecnologie che impiegano una molteplicità di algoritmi possono estrarre, dalle tracce digitali lasciate su internet, dati che consentono di controllare le abitudini mentali e relazionali delle persone a fini commerciali o politici, spesso a loro insaputa, limitandone il consapevole esercizio della libertà di scelta.

Non un vero progresso.

In uno spazio come il web, sovraccarico di informazioni, le tecnologie “possono strutturare il flusso di dati secondo criteri di selezione non sempre percepiti dall’utente”. I rischi sono reali e possono toccare la vita di “persone in carne ed ossa”. Le “forme di intelligenza” – giusto parlarne al plurale – hanno un impatto che “dipende anche da obiettivi e interessi di chi li possiede e li sviluppa, nonché dalle situazioni in cui vengono impiegati”, sottolinea il Pontefice. Non è detto che a priori il suo sviluppo “apporti un contributo benefico al futuro dell’umanità e alla pace tra i popoli”. E “non è sufficiente nemmeno presumere, da parte di chi progetta algoritmi e tecnologie digitali, un impegno ad agire in modo etico e responsabile”. Per questo bisogna “rafforzare o, se necessario, istituire organismi incaricati di esaminare le questioni etiche emergenti e di tutelare i diritti di quanti utilizzano forme di intelligenza artificiale o ne sono influenzati”.
Gli sviluppi tecnologici che non portano a un miglioramento della qualità di vita di tutta l’umanità, ma al contrario aggravano le disuguaglianze e i conflitti, non potranno mai essere considerati vero progresso.

Il rischio di cadere nella spirale di una dittatura tecnologica.

Inoltre, “la grande quantità di dati analizzati dalle intelligenze artificiali non è di per sé garanzia di imparzialità”, è il monito di Francesco. “Quando gli algoritmi estrapolano informazioni, corrono sempre il rischio di distorcerle, replicando le ingiustizie e i pregiudizi degli ambienti in cui esse hanno origine”. Nel sistema tecnocratico, che privilegia un efficientismo esasperato, si potrebbe finire per bypassare il “senso del limite”. Che, in altre parole, significa che nell’ossessione di “voler controllare tutto”, l’essere umano rischia di “perdere il controllo su sé stesso” e di “cadere nella spirale di una dittatura tecnologica”. Così “le disuguaglianze potrebbero crescere a dismisura, e la conoscenza e la ricchezza accumularsi nelle mani di pochi, con gravi rischi per le società democratiche e la coesistenza pacifica”.
In futuro, l’affidabilità di chi richiede un mutuo, l’idoneità di un individuo ad un lavoro, la possibilità di recidiva di un condannato o il diritto a ricevere asilo politico o assistenza sociale potrebbero essere determinati da sistemi di intelligenza artificiale.

Forme di manipolazione e controllo.

Non solo: “Le forme di intelligenza artificiale sembrano in grado di influenzare le decisioni degli individui attraverso opzioni predeterminate associate a stimoli e dissuasioni, oppure mediante sistemi di regolazione delle scelte personali basati sull’organizzazione delle informazioni”. Sono “forme di manipolazione o di controllo sociale” che “richiedono un’attenzione e una supervisione accurate, e implicano una chiara responsabilità legale da parte dei produttori, di chi le impiega e delle autorità governative”, scrive il Papa. Avverte anche dal pericolo di “improprie graduatorie tra i cittadini”, generate da processi automatici che categorizzano gli individui: essi possono portare anche a “conflitti di potere”, afferma il Pontefice, a danno di “persone in carne ed ossa”.
Il rispetto fondamentale per la dignità umana postula di rifiutare che l’unicità della persona venga identificata con un insieme di dati.

Il tema del lavoro.

Nel Messaggio papale si affronta infine il tema del lavoro: “Mansioni che un tempo erano appannaggio esclusivo della manodopera umana vengono rapidamente assorbite dalle applicazioni industriali dell’intelligenza artificiale”, scrive il Papa. Anche in questo caso,” c’è il rischio sostanziale di un vantaggio sproporzionato per pochi a scapito dell’impoverimento di molti”. L’appello è per la Comunità internazionale affinché abbia come “alta priorità” il rispetto della dignità dei lavoratori e l’importanza dell’occupazione per il benessere economico di persone, famiglie e società, la sicurezza degli impieghi e l’equità dei salari. Appello a scuole e istituzioni.
Da qui anche l’invito alle istituzioni ad educare all’uso di forme di intelligenza artificiale: “È necessario che gli utenti di ogni età, ma soprattutto i giovani, sviluppino una capacità di discernimento nell’uso di dati e contenuti raccolti sul web o prodotti da sistemi di intelligenza artificiale”, rimarca Francesco. “Le scuole, le università e le società scientifiche sono chiamate ad aiutare gli studenti e i professionisti a fare propri gli aspetti sociali ed etici dello sviluppo e dell’utilizzo della tecnologia”.

L’annuncio del Natale

Entrando da lei, ( l’angelo) disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. (…) Allora Maria disse all’angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. (…) Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l’angelo partì da lei.

Inizia da questo annuncio il Natale di Gesù.
Una tradizione narra di come San Bernardo di Chiaravalle immaginava che tutti gli angeli in cielo trattenevano il fiato in attesa di vedere cosa avrebbe risposto Maria. Avrebbe detto di “sì”? Tutta la creazione aspettava, chiedendosi cosa avrebbe fatto.
Ma nel messaggio evangelico non c’è accenno ad alcuna domanda o proposta.
Non c’è un “ti piacerebbe?” o un “sei d’accordo?” o “prenderesti in considerazione?”
Maria in realtà non risponde veramente perché non c’è stata alcuna domanda. Maria fa piuttosto una domanda per capire meglio il futuro che le si presenta: “Come è possibile? Non conosco uomo”. Lei sembra non avere alcun problema a crederci; l’unico problema è capire da dove e come verrà questo figlio.
Mentre noi a volte facciamo domande per intrometterci, per ritardare il compimento dei piani divini, Maria fa domande perché vuole essere obbediente
Ed è l’obbedienza che le farà dire «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto».
La parola “serva” andrebbe meglio tradotta con la parola “schiava”.
Mentre serva può essere semplicemente un lavoro o una funzione transitoria, la parola schiava è una questione di identità e di appartenenza. Non è qualcosa da cui ci si può distaccare liberamente. Se Maria è la “schiava” del Signore, ciò significa che non può essere la “schiava” di nessun altro. E’ una dichiarazione della sua libertà da ogni dominio umano; Maria dichiara di appartenere al Signore tanto quanto l’angelo che gli è stato inviato.

Dunque sarà Natale se le nostre domande non saranno poste per limitare, compromettere l’agire di Dio in noi e nel mondo intero, ma per poter essere i suoi discepoli: “ Venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà”, recitiamo nella preghiera del Padre Nostro.
Sarà Natale se la nostra disponibilità a lasciarci raggiungere da Cristo sarà tale da sentirci anche noi “schiavi”, vale a dire trovare la nostra vera identità in questa comunione profonda con il Signore che il Natale vuole rinnovare nei cuori di ogni uomo e donna.

don Romeo

La Chiesa del domani (Parte 2)

La Chiesa di Milano e la diminuzione dei suoi preti
Criteri e scelte possibili per governare e non subire il cambiamento – che sarà inevitabile – della presenza ecclesiale sul territorio
di Paolo Brambilla e Martino Mortola docenti di teologia

Pensiamo che nel prossimo futuro si giungerà inevitabilmente a un cambiamento della presenza ecclesiale sul territorio e si tratterà di scegliere se subirlo o governarlo. La scelta non è scontata, perché governare il cambia-mento consuma molte più energie. Vorremmo qui accennare ad alcuni criteri e alcune scelte possibili. Un primo criterio crediamo sia una rinnovata coscienza dell’importanza dei pastori. Senza clericalismo ma piuttosto seguendo una sana ecclesiologia, riteniamo sia necessario permettere ai presbiteri di operare in contesti a misura d’uomo. Se vi sono pochi preti si dovrà discernere quali realtà potranno essere accompagnate da un pastore e cosa sia bene dismettere perché non più utile alla missione della Chiesa locale. Un’obiezione usuale è che non è bene strutturare la Chiesa guardando al numero dei presbiteri; la risposta a questa obiezione è che le forme di aggregazione del popolo di Dio sono molteplici e non tutte richiedono d’essere guidate da ministri ordinati. Qui si vuole trattare solo delle parrocchie, ossia le comunità locali generate dai sacramenti dell’iniziazione cristiana e radunate attorno all’eucaristia, in cui il sacerdote è essenziale (LG 28). Un secondo elemento è una sana considerazione del ruolo dei laici. Il Concilio ha espresso chiaramente l’indicazione dell’indole secolare del laicato (LG 31). Se si tratta di accogliere con entusiasmo il rinnovato impulso riguardo ai ministeri battesimali, deciso da papa Francesco e accompagnato dalla nota della Cei, si tratta anche di esplicitare che i ministri laici sono chiamati a una comunione effettiva con i ministri ordinati. Pensare ai laici come sostituti dei presbiteri quando questi ultimi vengono a mancare, da una parte non rispetta il dettato conciliare, dall’altra ci pare idealizzi la disponibilità e la formazione laicale. Essi hanno il diritto di vivere la loro appartenenza alla Chiesa senza dover condurre pastoralmente le parrocchie, che include responsabilità notevoli. Dopo questi criteri ci spingiamo a proporre un principio che può apparire stridente nell’attuale impostazione: un pastore sia, a nome del vescovo, guida di una sola comunità, in grado di raccogliersi in un’unica sinassi eucaristica.
A partire da questo principio e da quanto detto sopra, presentiamo alcune proposte.
perché un parroco abbia una sola comunità si tratterà, purtroppo, di diminuire il numero delle parrocchie. Questa strada è già stata percorsa in Francia negli ultimi decenni (dove molte diocesi sono passate da 500 a 50 parrocchie) e si sta attuando per la prima volta in Italia a Spoleto – Norcia (da 71 a 16 parrocchie). Questa non deve apparire una ritirata o una resa, ma la possibilità di avere luoghi di qualità sul territorio. meno presbiteri, meno fedeli, meno entrate economiche: si tratta di ridurre le realtà affinché nei loghi rimasti si celebri bene, il parroco sia facilmente incontrabile, si viva una pastorale unitaria e coordinata e vi siano strutture e istituzioni belle e funzionali, dove la comunità possa riunirsi a celebrare una sola eucaristia e un solo triduo pasquale. Ciò può trovare diverse applicazioni. Molti paesi della diocesi di Milano, che hanno 15-20 mila abitanti, un solo comune, un unico centro e sono già comunità pastorali funzionanti, possono essere riunite in un’unica parrocchia. A Milano, e in altre grandi città dell’hinterland dove vi sono parrocchie geograficamente vicine, si tratterà di diradare il numero di parrocchie, magari costituendo precedentemente una comunità pastorale per poi costituire un’unica parrocchia. In entrambi i casi si potranno e dovranno di-smettere le strutture non più necessarie per la vita della nuova realtà. Più difficile è il contesto della provincia dove si trovano piccoli paesini di dimensioni simili tra loro, in cui l’idea di creare un’unica parrocchia lascerebbe molte persone senza facile accesso alla celebrazione eucaristica. Crediamo che qui si tratti di rinunciare ad alcune parrocchie che non hanno più una vitalità e fare in modo che un parroco abbia fino a due parrocchie, al massimo tre, perché sia realmente accanto alla gente. Perché il processo di riorganizzazione non appaia un’operazione subita, è importante rendere le comunità protagoniste del loro futuro. Ci pare sensato avvertire le parrocchie a cui non si potrà più assicurare un parroco. Esse andranno accompagnate in un discernimento comunitario, che potrebbe avere come esito una richiesta al vescovo. Si potrebbe arrivare a chiedere di fondersi con altre parrocchie, come detto sopra, con un solo parroco e un solo centro parrocchiale, dove si celebra l’eucaristia e l’iniziazione cristiana. Le strutture sarebbero incorporate nell’unica parrocchia. Dall’altra parte si potrebbe chiedere di rimanere comunità indipendente, senza parroco e quindi non più parrocchia, divenendo una comunità territoriale laicale con a guida un’équipe di laici. Importante è sgravare i presbiteri da tante incombenze, per poter vivere il loro ministero in pienezza e tornare a essere generativi e creativi.

La Chiesa del domani (Parte 1)

A Milano sempre meno ordinazioni sacerdotali e meno ingressi in Seminario.
di Paolo Brambilla e Martino Mortola docenti di teologia.

In maggio, per alcuni giorni, la ricerca condotta dai professori del Seminario di Milano, insieme ad alcuni docenti della Cattolica, ha destato un profondo interesse sulla stampa nazionale. Uno degli elementi evidenziati è stata la previsione circa il numero dei preti attesi nella diocesi di Milano per l’anno 2040, che vedrà un calo di quasi il 35%. Per la verità, le previsioni delineate e l’analisi statistico-demografica che corredalo studio non contiene nulla che non sia conosciuto da tempo. Anzi. Ogni presbitero di Milano sa che il numero delle ordinazioni è in costante calo. L’obiettivo dello studio, però, non è la diffusione di numeri pessimistici: abbiamo voluto partire da una seria presa di coscienza della realtà perché si possano prendere decisioni per la costruzione della Chiesa del futuro.
Per approfondire rimandiamo al testo edito da Ancora: Un popolo e i suoi presbiteri. La Chiesa di Milano di fronte alla diminuzione dei suoi preti.
Qui vorremmo soffermarci su due aspetti: una sintesi dei dati raccolti e il riconoscimento di un momento faticoso per i presbiteri della nostra Chiesa. Prima di tutto si tratta di dire qualcosa sulla popolazione della diocesi. Se siamo al corrente della decresciti demografica italiana, si tratta di considerarla per aver presente la composizione delle nostre comunità nel futuro. Mentre oggi gli anziani (over 65) sono meno del doppio dei ragazzi (0-14 anni), nel 2050 diverranno più del triplo. Questa ci pare una considerazione importante anche per alcune scelte sulle strutture della Chiesa. La diminuzione dei nati, insieme alla minor partecipazione alla vita ecclesiale, ha già causato un calo nei sacramenti celebrati. Se tra il 1995 e il 2005 i battezzati in diocesi erano circa 37 mila, oggi si attestano a 20 mila. Per ora il numero di prime comunioni e cresime appare stabile, ma si verificherà anche una loro decrescita. In ottica pastorale è interessante notare che vi è ancora un buon numero di ragazzi che si avvale dell’insegnamento della religione cattolica, seppur all’interno di un trend discendente. Passiamo ora ai numeri del clero, che sono un aspetto significativo della ricerca. Un appunto: le previsioni sono state costruite a partire da una stima statistica delle nuove ordinazioni. Esse dovrebbero calare, nel corso dei prossimi vent’anni, da una media di 15 ordinazioni annuali a 10 nel 2040. Tuttavia la pandemia ha stravolto ogni previsione, in quanto gli ingressi in Seminario sono stati 16 nel 2020, 11 nel 2021, 6 nel 2022 e il numero atteso per il 2023 è simile.
Si tratta quindi, purtroppo, di prendere i numeri previsti come ottimistici. Fino a oggi, almeno nella diocesi di Milano, chi ha faticato maggiormente di fronte alla diminuzione del clero sono stati i preti stessi. Cerchiamo di spiegarci. All’inizio del XX secolo il numero dei sacerdoti diocesani e dei fedeli è aumentato progressivamente e con essi il numero delle parrocchie. Poi, dagli anni ’70, hanno cominciato a diminuire i presbiteri ma non, ovviamente, il numero delle parrocchie. Nella diocesi di Milano, nel 2006, sono nate le Comunità pastorali, che hanno cambiato il volto organizzativo della diocesi, con una proposta forte di pastorale d’insieme: un unico prete diviene parroco di più parrocchie che sono chiamate così a un cammino comune.
Nelle parrocchie, tuttavia, non si è modificato molto, anzi, si è cercato di mantenere celebrazioni, funerali, catechesi, attività estive. Certo, vi sono stati alcuni accorpamenti, ma non senza dissensi e opposizioni che, da un certo punto di vista, sono anche giustificabili, non essendo venuto meno il diritto di essere parrocchia. Per i fedeli delle singole parrocchie la condivisione del parroco con altre realtà ha spesso creato una fatica “ricettiva”: si ha un diritto, lo si desidera ma non si ottiene di conseguenza. Dal punto di vista dei pastori, invece, la fatica è stata attiva e di responsabilità. Il parroco di più parrocchie deve lavorare e muoversi senza sosta, assicurando i servizi essenziali e cercando di fare il possibile per mantenere vive le singole realtà. E alcune lamentele tornano puntualmente: «Non ci sei mai», “Sei sempre di là», «Era meglio prima». Il parroco non può rispondere «Non è vero», ma solamente «Riesco a fare solo così». Per questo la vita di molti parroci, e di preti giovani responsabili di più oratori, è caratterizzata da molta frustrazione e un certo disincanto: il prete si impegna a donare la vita per il suo gregge nel ministero e si sente dire costantemente: “Così non va».
Crediamo sia arrivato il momento di mettere i presbiteri nelle condizioni di fare meglio, riducendone gli impegni. Il carico di lavoro delle 1.107 parrocchie è già sproporzionato rispetto al numero effettivo dei presbiteri attuali, che diminuiranno costantemente nei prossimi anni. Si tratta di individuare cammini possibili e concreti, che necessariamente dovranno mettere in discussione la struttura parrocchiale.

Calano i fedeli praticanti

In Italia negli ultimi vent’anni il numero di chi partecipa regolarmente a un rito religioso si è quasi dimezzato.
In Italia, chi partecipa a un rito religioso almeno una volta alla settimana è circa il 19% della popolazione, mentre il 31% non frequenta un luogo di culto se non in occasioni di eventi particolari come battesimi, matrimoni e funerali. L’altra metà degli abitanti vi si reca in modo discontinuo: una volta al mese, qualche volta l’anno, nelle grandi festività. Negli ultimi vent’anni, dunque, il numero dei praticanti regolari si è quasi dimezzato dal 36% del 2001 e i non praticanti sono ormai raddoppiati, con il sorpasso che è avvenuto in un non sospetto 2018. Questi dati, riportati da SettimanaNews, provengono da un’indagine dell’Istat – la più recente, rappresentativa e attendibile che ci sia sulla pratica religiosa nel nostro Paese – e si riferiscono al 2022 (anno libero dalle restrizioni pandemiche) e a tutte le confessioni. Considerando che oggi circa il 70% degli italiani si dichiara cattolico, queste cifre possono essere considerate uno specchio del fenomeno nella Chiesa. La riduzione ha coinvolto tutte le classi di età, ma in modo molto marcato la fascia tra i 14 e i 24 anni. Il calo di adolescenti e giovani nella pratica religiosa regolare è stato addirittura di oltre i due terzi, a fronte di una diminuzione della metà tra gli adulti maturi e del 30-40% tra gli anziani. Negli ultimi vent’anni, gli adolescenti sono passati dal 37% al 12% e i giovani adulti dal 23% all’8%. La loro disaffezione alla frequentazione dei riti sacri viene da lontano, con gli anni segnati dal Covid-19 che le hanno inferto un’ulteriore accelerata. Da questa indagine, si evince dunque che l’appuntamento settimanale in un luogo di culto (per i cattolici la messa domenicale) attrae sempre di meno, con la pandemia che ha accelerato questo andamento di lungo periodo. In Italia ci sono inoltre da considerare differenze territoriali e di genere. Al Sud i praticanti regolari sono il 23% degli abitanti delle regioni meridionali, al Centro-Nord il 17% di quelli delle regioni centro-settentrionali. Poi, la frequenza costante è appannaggio delle donne per il 22% della popolazione femminile, degli uomini per il 15% della popolazione maschile. In generale, il calo della pratica religiosa coinvolge tutti i Paesi occidentali, anche con percentuali di molto superiori a queste: questo rappresenta una prova vitale per la Chiesa e ogni confessione.