Novembre si apre con la commemorazione dei defunti, festività che subito ci rimanda al tempo che viviamo con una domanda fondamentale, di cui non conosciamo la risposta : quanto tempo mi è dato per vivere?
Secondo l’antiva concezione pagana il tempo, chronos, è una divinità assoluta, inesorabile, che inghiottisce sia gli uomini che gli altri dei. Si rappresenta in forma di una ruota che per un momento porta in alto e subito getta giù. Dipende dalla fortuna, in che punto uno si attacca a questo movimento, vivere la misura del tempo della propria vita.
Va da sé che una tale concezione non può essere biblica. Il Creatore del mondo dà ad ogni creatura e al mondo intero il loro tempo propizio, breve o lungo che sia.
Secondo quale criterio è distribuito questo tempo?
Forse sarà opportuno spiegarlo con un paragone. Immaginiamoci il direttore di una radio che chiama un uomo con questo incarico: “ Ti offro un quarto d’ora per la trasmissione di questa sera. Cerca di approfittarne per dire qualche cosa buona!” Ad un altro dà un compito differente: “Ho bisogno di uno che spieghi agli ascoltatori questo tema. Ti darò tanto tempo quanto ne avrai bisogno per poterlo fare bene”.
Questo secondo tipo si può applicare a Dio. Egli dà ad ogni uomo una vocazione propria e gli offre il tempo necessario per eseguirla.
Lo illustra bene una lettera di San Francesco Saverio, il quale racconta che nel suo viaggio in Giappone incontrò un pericolo mortale sulla nave su cui viaggiava e testimonia che non ebbe la minima paura o dubbio, dato che era sicuro di eseguire la vocazione datagli da Dio.
Certo che la vocazione va scelta e accolta nella preghiera, nella riflessione, cioè in una vita interiore.
Ed è proprio tramite questa vita interiore cristiana che possiamo leggere e credere che il tempo datoci, e che è stato dato ai nostri cari, è un tempo compiuto per realizzare il proprio cammino, quand’anche fosse subentrato un distacco improvviso, rapido a cui non sappiamo dare il nome.
d Romeo