L’economia civile: l’antidoto al liberismo e al protezionismo nazionalista

Nei bilanci delle aziende la voce più significativa dovrebbe essere quella del lavoro che è “capitale” umano e non è un mero “costo del personale” come usualmente definito.
E primario criterio di giudizio del risultato d’impresa dovrebbe essere quanta occupazione in più ha prodotto in un determinato arco di tempo o quantomeno salvaguardata.
E quindi quanta ricchezza sociale si è prodotta e di cui beneficerà l’impresa stessa!
Giacché creare occupazione stabile conviene in quanto si hanno ritorni certi sulle entrate dei bilanci privati e pubblici. Più aumentano i lavoratori stabili più crescono gli investimenti in case, istruzione, prevenzione medica, risparmi investiti, cura degli anziani e tanti altri consumi.
Peraltro non dovrebbe esser una novità perché da decenni si versano fiumi d’inchiostro sulla responsabilità sociale d’impresa.
Viceversa è stata esasperata la pratica della “flessibilità” che ha camuffato la precarizzazione dei rapporti anche mediante processi spinti di esternalizzazione che hanno spesso peggiorato la qualità dei servizi e il rapporto con i cittadini.
Certo la crisi che viviamo ha tante variabili ma forse è anche venuta l’ora di modificare i criteri di misurazione del fare impresa assumendo che il capitale umano è leva strategica e non solo un dato contabile da gestire in funzione del ROE, di lauti dividendi e ghiotti bonus per i manager.
I lavoratori dovrebbero esser coinvolti e responsabilizzati nelle strategie di crescita con retribuzioni flessibili collegate in parte ai risultati conseguiti. L’altra faccia dei profitti sono sempre i costi sociali che provocano, ammoniva John Stuart Mill già nell’ottocento. L’evidente divorzio tra i mercati e responsabilità sociali genera la crisi delle democrazie che perdono efficacia nel raggiungimento dell’inclusività per tutti e quindi consenso. “Possiamo avere la democrazia o avere la ricchezza concentrata nelle mani di pochi, ma non possiamo averle entrambe” (L.Brandeis). Occorre arrestare le derive dello sviluppo: il predominio della finanza, del clientelismo, la corruzione, il corporativismo e la concentrazione dei mercati nelle mani di pochi big players.
La storia sta presentando i conti che non tornano a tanti cittadini generando pericolosi populismi. L’economia civile, ampiamente promossa da Avvenire, indica che liberismo e protezionismo nazionalista sono entrambi dannosi e che la cura è invece liberare l’economia dall’idea mercantile prevaricante per riportarla al suo senso originario di bene e strumento comunitario.

Alberto Mattioli

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