Un primo pensiero, all’annuncio della nuova esortazione apostolica di Papa Francesco Gaudete et exultate, sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, potrebbe essere questo: in un panorama mondiale segnato da così gravi problemi, un discorso del genere può suonare un po’ distante dalla realtà. Ma basta una prima veloce scorsa al testo per accorgersi che è tutto il contrario.
Ciò che è distante è piuttosto l’immaginario di santità che ci portiamo dietro da secoli e di cui fatichiamo tanto a liberarci: una santità che richiama un’atmosfera piuttosto cupa con immagini di santi dal collo storto e occhi all’insù. Una meta per pochi privilegiati, quasi irraggiungibile ai più. E invece papa Francesco ci parla dei «santi della porta accanto», di una santità feriale. Ci invita a riconoscere che siamo «circondati da una moltitudine di testimoni» tra cui «può esserci la nostra stessa madre, una nonna o altre persone vicine».
E continua con altri esempi di persone «che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio», che «anche in mezzo a imperfezioni e cadute, hanno continuato ad andare avanti e sono piaciute al Signore». Il Papa ci incoraggia a lasciarci stimolare da questi segni di santità che il Signore ci presenta anche attraverso le persone più umili, e ad avere occhi aperti per individuare quelli che lo Spirito suscita «anche fuori della Chiesa Cattolica e in ambiti molto differenti».
Un famoso proverbio dice: “Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”. Tutti questi segni feriali di santità non sono forse la foresta che cresce, che trasforma realmente il mondo dal basso, che «costruisce la vera storia»? I nostri orecchi sono frastornati dai boati delle cattive notizie e non siamo più capaci di “ascoltare il silenzio” della foresta che cresce.
Così il nostro cuore si appesantisce e gli occhi non sanno più vedere la luce del sole che continua ad illuminare la terra anche dietro le nubi più nere. Diventiamo gente che continua a lamentarsi, che non sa vedere il tanto bene che c’è, e non si sente neppure impegnata a farlo, perché: a cosa serve se tutto va a rotoli?
È significativa la citazione, riportata da Papa Francesco, di santa Teresa Benedetta della Croce, una donna ebrea convertita al cristianesimo, vissuta in un tempo non meno buio del nostro. Ha conosciuto l’atrocità dei campi di concentramento nazisti, dove è morta martire: «Nella notte più oscura sorgono i più grandi profeti e i santi. (…) Sicuramente gli avvenimenti decisivi della storia del mondo sono stati essenzialmente influenzati da anime sulle quali nulla viene detto nei libri di storia».
Ma nell’esortazione apostolica del Papa c’è anche un’altra bella sottolineatura che contrasta con i nostri preconcetti: «Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza». Insomma, questa santità non è un percorso extraterrestre, ma un cammino che ci porta ad essere «più vivi, più umani», un cammino desiderabile, percorribile da tutti, che «non toglierà forze, vita e gioia», ma porterà a trovare il senso pieno della vita, la vera felicità. È proprio quello che abbiamo bisogno di sentirci dire.
Anna Maria Menin