«“Venuta la sera” (Mc 4,35). Da settimane sembra che sul mondo sia scesa la sera a causa del virus che ha causato una pandemia. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite, riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo, siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa» . Le parole della toccante omelia di papa Francesco sono risuonate sullo sfondo di una piazza San Pietro deserta e della basilica retrostante vuota. Un gesto profetico per edificare, esortare e confortare un mondo sconvolto dalla diffusione del Covid-19 che sta distruggendo così tante vite umane.
I profeti di sventura che manipolano la Bibbia
Per chi ama davvero la Bibbia può risultare sconcertante che qualcuno stia piegando a proprio uso e consumo alcuni passi biblici che potrebbero far alludere a una crisi come quella del coronavirus. Si tratta di versetti sistematicamente estrapolati dal contesto e applicati a forza alla realtà attuale. I profeti di sventura se ne servono per proclamare che la pandemia che stiamo vivendo è una punizione di Dio adirato contro un mondo peccatore. Essi citano versetti contro qualsiasi cosa urti la loro sensibilità e infieriscono a colpi di Scritture su un’umanità già ferita e sanguinante. Talvolta sembra quasi di avvertire la soddisfazione con cui citano passi che descrivono piaghe e catastrofi scagliate da un Dio permaloso su un mondo che ha bisogno di essere punito.
Sullo stesso palcoscenico, accanto a questi sedicenti profeti animati dall’ira divina, si stagliano i moralisti del «te l’avevo detto», che a loro volta hanno setacciato le Scritture in cerca di testi che consentano di predicare con autorità le loro convinzioni circa ciò che è giusto a un mondo che finalmente dovrà riconoscere che la loro è davvero la ricetta per un domani migliore. Sia i profeti di sventura sia i moralisti del «te l’avevo detto» sembrano irrefutabilmente convinti che la crisi Covid- 19 rientri in un modello biblico di castigo o rimprovero divino.
Il caso del re Davide e della peste
Ci sono alcuni testi biblici particolarmente inquietanti che a questi profeti di sventura sembrano molto indovinati per le circostanze dell’attuale «pandemia» (termine moderno che sembra riecheggiare le antiche pestilenze). Uno dei più espliciti potrebbe essere 2 Samuele 24, un’appendice alla storia del re Davide. Il capitolo si apre con parole minacciose: «L’ira del Signore si accese di nuovo contro Israele» (2 Sam 24,1) . Perché? Perché Davide aveva ordinato il censimento, nonostante la resistenza del suo generale supremo, Ioab. L’astuto Ioab sembrava consapevole del fatto che questa azione era in contrasto con il comandamento della Legge. Perché un censimento doveva essere indissolubilmente legato alla raccolta di denaro per il tempio.
Leggiamo, infatti, nell’Esodo: «Quando per il censimento conterai uno per uno gli Israeliti, all’atto del censimento ciascuno di essi pagherà al Signore il riscatto della sua vita, perché non li colpisca un flagello in occasione del loro censimento» (Es 30,12).
In realtà, il conteggio del popolo, che era diventato molto numeroso, doveva essere collegato a un gesto di ringraziamento, di riconoscenza verso Dio, che aveva adempiuto le promesse fatte ai patriarchi: «Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò molto, molto numeroso» (Gen 17,2).
Invece Davide aveva ordinato il censimento ignorando la Legge, e così era tornato a dimostrare che tendeva a sostituirsi a Dio, che pretendeva di essere lui la fonte della forza del popolo, come del resto aveva già mostrato aspirando a costruire un tempio che Dio non voleva (cfr 2 Sam 7) e spingendosi fino a uccidere il marito di Betsabea, pur di farla propria (cfr 2 Sam 12).
Sebbene Davide, una volta completato il censimento, si fosse pentito , il racconto biblico ci informa che Dio pretese un prezzo terribile. Permise a Davide di scegliere fra tre anni di carestia, tre mesi di fuga inseguito dai suoi nemici o tre giorni di peste. Il re chiese solo di non cadere nelle mani dei nemici. «Così il Signore mandò la peste in Israele, da quella mattina fino al tempo fissato; da Dan a Bersabea morirono tra il popolo settantamila persone» (2 Sam 24,15). Soltanto quando l’angelo devastatore stese la mano su Gerusalemme, il Signore disse all’angelo: «Ora basta! Ritira la mano!» (2 Sam 24,16). Il ripensamento di Dio è provocato dal fatto che Davide si era assunto la responsabilità del suo peccato: «Io ho peccato, io ho agito male; ma queste pecore che hanno fatto?
La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre!» (2 Sam 24,17).
Dalla falsa lettura alla corretta interpretazione
Eccoci al punto. Abbiamo la convergenza tra peccato e ira, tra offesa e conseguenze nefaste. Da questo passo, estrapolato dal contesto, i profeti di sventura – ai quali abbiamo fatto cenno sopra – potrebbero davvero desumere che l’attuale crisi – e prima di essa le inondazioni, gli uragani, le eruzioni vulcaniche, gli tsunami, l’Aids e qualsiasi altra calamità naturale e umana – sia segno del peccato e dell’ira, proprio come ciò che viene descritto nella Bibbia.
E invece è importante sottolineare che chi traesse questa deduzione starebbe dando una lettura falsata del testo, ignorandone il contesto – sia storico sia narrativo –, le intenzioni dell’autore e il messaggio teologico sottostante.
La narrazione del censimento, infatti, rientra in una lunga storia che inizia con l’ingresso nel Paese, nel libro di Giosuè, e si muove ininterrottamente verso la distruzione di Gerusalemme e del tempio.
Questa ampia saga, scritta verso la metà del VI secolo a.C., è il frutto letterario di un autore o di una scuola di autori che gli studiosi chiamano «deuteronomista». Lo scottante problema dell’epoca era quello di meditare sulla sciagura della distruzione del tempio, che Salomone aveva costruito, e della città di Gerusalemme, con il conseguente esilio a Babilonia. Insomma, la domanda alla quale risponde quel testo è: com’è possibile che Dio abbia donato a Giosuè la terra e che questa sia stata perduta con l’invasione babilonese?
L’intera tradizione narrativa deuteronomista è stata scritta in un contesto di devastazione: tutto era andato perduto. Il popolo doveva rileggere la propria storia per assumersene la responsabilità e chiedere perdono a Dio.
La pagina biblica non intende affermare la pestilenza come punizione divina, bensì la necessità che il popolo – come Davide – si assuma le proprie responsabilità negli
eventi che hanno condotto all’esilio .
Certo, secondo la comprensione di Dio nella Scrittura, che è sempre in divenire, vi è qui ancora una mentalità religiosa che tende a riferire tutto a Dio come causa prima e a collegare ogni avversità con un precedente peccato commesso, dal singolo o da altri.
Dopo la «correzione» successiva dei testi profetici (ad esempio Ezechiele), per cui ciascuno paga soltanto le conseguenze del proprio peccato, sarà Gesù a contraddire questa logica religiosa di stretta dipendenza tra colpa e castigo (come nel caso degli episodi della torre di Siloe e del cieco nato).
David Neuhaus ( Parte 1 di 2 ; articolo da Civiltà Cattolica. La seconda parte prossimo Info)