Nel momento in cui diventa disponibile, il vaccino interpella ciascuno a compiere una scelta, in cui si intrecciano la libertà personale e la responsabilità per il bene comune, che smette di essere un concetto astratto e prende una forma concreta.
Vaccinarsi è scelta personale, che la legge rispetta non imponendola, ma non individuale, nel senso che richiede di considerare il legame con la collettività di cui ciascuno fa parte. Il caso è diverso dalla stragrande maggioranza dei trattamenti sanitari, quali interventi chirurgici o terapie magari ben più invasivi e rischiosi di una vaccinazione: chi li rifiuta, si espone a un rischio, ma decide sostanzialmente per sé, tenendo conto della cerchia dei propri cari, in particolare quelli verso cui ha delle responsabilità.
Invece, anche tenendo conto del rischio remoto che sempre presenta, e salvo gravi controindicazioni che la rendano sconsigliabile, come nel caso di allergie, chi rifiuta la vaccinazione espone a un rischio non solo se stesso, ma anche altri.
La sua scelta rallenta il contenimento della pandemia, in quanto continuerà a essere potenzialmente contagiabile e quindi contagioso, a danno di tutti coloro che non possono essere vaccinati o su cui la vaccinazione non ha effetto: la loro protezione dipende dalla copertura vaccinale altrui e dal raggiungimento dell’immunità di gregge. E con un onere aggiuntivo per la collettività, a causa del protrarsi del sovraccarico del sistema sanitario.
Non sono mancati nelle prime settimane dell’anno moniti autorevoli in questo senso, a partire da quello del presidente Mattarella, che nel tradizionale messaggio di fine anno ha affermato: «Vaccinarsi è una scelta di responsabilità, un dovere».
Anche papa Francesco, nell’intervista trasmessa da Canale 5 il 10 gennaio, ha dichiarato che vaccinarsi «È un’opzione etica, perché tu ti giochi la salute, la vita, ma ti giochi anche la vita di altri».
Negli ultimi giorni del 2020 due documenti vaticani avevano affrontato la questione in modo più organico. Il primo è la Nota sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-COVID-19, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della fede il 21 dicembre. Il tema principale è la considerazione della liceità dell’utilizzo di vaccini nel cui processo di ricerca e sperimentazione sono state utilizzate linee cellulari ottenute come esito di aborti procurati: è il caso di tutti i vaccini approvati o prossimi all’approvazione nei Paesi occidentali, sia pure con situazioni differenziate.
Dopo aver risolto positivamente la questione «con coscienza certa che il ricorso a tali vaccini non significhi una cooperazione formale all’aborto dal quale derivano le cellule con cui i vaccini sono stati prodotti» e giustificandone l’uso a fronte del grave rischio pandemico che consentono di contenere, la Nota prosegue con un’affermazione che ha suscitato un’eco mediatica assai inferiore: «la moralità della vaccinazione dipende non soltanto dal dovere di tutela della propria salute, ma anche da quello del perseguimento del bene comune» (n. 5);
termina poi ricordando che «vi è anche un imperativo morale […] di garantire che i vaccini […] siano accessibili anche ai Paesi più poveri e in modo non oneroso per loro» (n. 6). Pochi giorni dopo, il 29 dicembre, queste argomentazioni sono state rilanciate dalla Nota della Commissione vaticana COVID-19 in collaborazione con la Pontificia Accademia per la Vita, intitolata Vaccino per tutti. 20 punti per un mondo più giusto e sano, che le declina nel contesto concreto della campagna vaccinale in corso, con una particolare attenzione alla garanzia di un accesso davvero universale al vaccino.
La fraternità a presidio della libertà
In questo contesto, chi rifiuta la vaccinazione si avvicina alla posizione che la riflessione etica chiama del free rider, colui che desidera i vantaggi e i benefici offerti dalla collettività senza farsi carico dei corrispondenti oneri: l’esempio tipico è l’evasore fiscale. In un mondo ipotetico in cui tutti sono vaccinati eccetto uno solo, l’unico non vaccinato si troverebbe infatti al riparo dal contagio grazie alla vaccinazione altrui. Ma se ciascuno cercasse di occupare questa posizione, nessuno accetterebbe di essere vaccinato e rimarremmo tutti privi di protezione.
Nella recente enciclica Fratelli tutti (2020), papa Francesco riflette sul modo per non rimanere invischiati nelle contraddizioni delle derive individualistiche articolando libertà e fraternità. In particolare nota come «senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, […] la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine» (n. 103).
Difficile immaginare una esemplificazione di queste parole migliore della situazione che stiamo vivendo. La pandemia ci ha costretto a subire pesanti compressioni della nostra libertà. L’immunità promessa dai vaccini rappresenta la speranza di uscire da questa situazione, ma solo a condizione di una loro sufficiente diffusione.
In altre parole, servono oggi scelte personali ispirate alla fraternità, cioè aperte alla considerazione dei vantaggi e dei rischi collettivi e non solo individuali della campagna vaccinale. Altrimenti i tanti muri e divieti con cui si scontra ogni giorno la nostra libertà faticheranno a cadere.
Ugualmente abbiamo bisogno di politiche ispirate alla fraternità, ad esempio per quanto riguarda l’accesso universale ai vaccini, se non vogliamo rischiare che le nostre libertà risultino illusorie perché confinate in ambiti spaziali ridotti e costantemente minacciati.
Come scrive papa Francesco, «La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. Neppure può preservarci da tanti mali che diventano sempre più globali.
Ma l’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Inganna».
L’inganno più grande è proprio quello di farci ritenere possibile la libertà senza il contributo della fraternità. Oggi tocchiamo con mano che tutelare la libertà di ciascuno, oltre che la sicurezza di tutti, richiede di compiere scelte di fraternità.
Tratto da ”Aggiornamenti Sociali”