1. L’appello.
C’è un posto vuoto. Pietro rivolge alla comunità un appello. Sembra un problema di reclutamento del personale. Invece è la grazia che rende il gruppo dei discepoli segno del compimento delle promesse di Dio, della continuità tra Israele e la Chiesa. L’appello fa uscire Mattia dell’anonimato. D’ora in avanti non sarà uno qualsiasi tra i discepoli di Gesù, ma un nome iscritto tra i Dodici. Anch’io rivolgo un appello: non per reclutare personale. In effetti nessuno può dire quanti preti siano necessari perché sia offerta oggi, qui, la testimonianza della resurrezione di Gesù. L’appello è invece perché escano dall’anonimato, dal gruppo dei discepoli qualsiasi, coloro che sono chiamati a prendersi la responsabilità della testimonianza. L’appello non è una promessa di sistemazione, di prestigio, di vita facile. Piuttosto è una sorta di candidatura al martirio, a essere voce di un messaggio che potrebbe incontrare indifferenza, disprezzo, ostilità. E tuttavia vale la pena di presentarsi perché il nome sia scritto nel libro della vita, tra i nomi dei testimoni della resurrezione.
2. La responsabilità della comunità.
Di fronte all’appello di Pietro la comunità assume le sue responsabilità. L’appartenenza al collegio apostolico è l’esito di un itinerario complesso che comporta la designazione della comunità, la disponibilità del candidato, la preghiera che invoca un segno da parte del Signore, l’ingresso nel gruppo dei testimoni autorevoli della risurrezione di Gesù. Invito a meditare questo episodio e a riconoscere che le nostre comunità stentano ad esser propositive, a compiere un discernimento, a proporre candidati per il ministero. Le comunità si aspettano che ci siano preti per accompagnare la vita, le iniziative, il servizio secondo il Vangelo. Si immaginano però che le “vocazioni” siano l’esito di un desiderio che in modo imprevedibile “sorge nel cuore” di un ragazzo, adolescente, giovane e lo convince all’autocandidatura da sottoporre al discernimento della Chiesa. L’enfasi che si pone sul desiderio di ciascuno coglie certo un aspetto molto vero. Si espone anche al rischio di configurare la figura del prete secondo le aspettative di ciascuno, piuttosto che secondo le esigenze del Vangelo e della comunità cristiana. Invito pertanto tutte le comunità e, in esse, i preti e coloro che accompagnano personalmente i giovani a interrogarsi sulla responsabilità di proporre la via verso il ministero ordinato a coloro che ritengono adatti. Nella mia esperienza ho constatato che la proposta fa pensare e talora sveglia nel giovane interpellato una intuizione rimossa, una prospettiva accantonata, un desiderio represso per tante ragioni ambientali, culturali, familiari. Lo Spirito opera anche attraverso le proposte sagge e le provocazioni personali.
3. Una giornata per la gratitudine, per la preghiera, per la generosità.
La Giornata per il Seminario è anzitutto il momento adatto per dire grazie. Grazie al Seminario Diocesano per la sua insostituibile opera per la diocesi. Grazie a tutti coloro che sostengono il Seminario con la stima, l’attenzione alla sua vita attraverso “La Fiaccola”, la generosità delle offerte, la sensibilizzazione delle comunità. Grazie alle famiglie e alle comunità che incoraggiano giovani promettenti ad affidarsi alla proposta educativa del Seminario per il discernimento e la formazione al ministero ordinato. La Giornata per il Seminario è l’invito a pregare, in questa giornata e in molte occasioni durante l’anno, perché nelle nostre comunità ci siano parole di incoraggiamento e di proposta per ragazzi, adolescenti, giovani perché si sentano interpellati: “Cerchiamo persone che possano essere testimoni della resurrezione, possiamo contare su di te?”. La semplicità, la franchezza, la discrezione della proposta non costringe nessuno. Ma chi prega molto, con sincerità e libertà, può trovare le occasioni opportune e le parole adatte per rivolgere un invito e – chi sa? – accendere una luce. La Giornata per il Seminario è anche l’occasione per sostenere il Seminario Diocesano con generosa partecipazione alle sue spese e alle sue esigenze economiche. Alzare il capo, guardare al futuro, amare la Chiesa può essere lo stile delle comunità cristiane che non permettono che nessuno vada perduto: si appassionano all’impresa di accompagnare ciascuno fino al compimento della sua vocazione.
Mario Delpini – Arcivescovo di Milano