È possibile un discorso su Dio?

Per i credenti e la teologia cristiana il luogo di Dio è Gesù di Nazaret.

Parlando di bellezza e di necessità del sapere teologico, è opportuno da subito affrontare un interrogativo davvero radicale. La parola “teologia”, in effetti, evoca Dio stesso; partendo dalla sua origine greca, la si potrebbe rendere semplicemente come “discorso su Dio”. Ma è davvero possibile un di-scorso su Dio? Non è Dio un mistero? Non è anzi il mistero di ogni mistero? E non sarà forse il silenzio l’unico atteggiamento realmente corretto dinanzi alla sua realtà? Sono domande che meritano attenzione.
Per prima cosa, è opportuno chiarire il senso del termine “mistero” e poi verificare in che modo l’esercizio cristiano della teologia non trasformi Dio in un oggetto come gli altri, non ne annulli cioè la “divinità”. Ed è così che di per sé “mistero” non segnala qualcosa che sfugge alla nostra intelligenza, dinanzi a cui dobbiamo affermare la nostra impossibilità a procedere. E questo per ragioni di logica: se con “mistero” intendessimo qualcosa che è oltre le nostre capacità di pensiero e di nominazione, in verità, non potremmo neppure pensare e affermare che esso sfugge alla nostra intelligenza; infatti, almeno in questo non sfuggirebbe a essa e cioè per il fatto di poter pensare/dire che esso ci sfugge. Precisamente “mistero” è ciò la cui vastità e inesauribilità richiede sempre nuovi sforzi di comprensione e attenzione. Ed è proprio in questo suo significato che emerge il suo intimo e positivo legame con la parola e la realtà di “Dio”. Dio — la cui etimologia è propriamente quella di “luce” — è esattamente la condizione di possibilità affinché si dia qualcosa come un mistero: cioè qualcosa che possa essere sempre indagato.
La ricerca umana intorno a ciò che si presenta come “mistero”, come non ancora conosciuto, è possibile perché da sempre l’uomo ha intuito che il mistero non ha misteri. Ha cioè intuito che si dà un luogo del disvelamento del mistero. Il luogo dell’essere di Dio. Dire allora che Dio è un mistero non significa dire che è inconoscibile o che solo il silenzio ne salvaguarderebbe la realtà, ma dire che è la condizione di ogni atto di conoscenza umana.
Ma non sarà, a questo punto, ancora più complessa l’impresa di qualsivoglia teologia: quella di dire una parola su questa luce che ultimamente permette l’esercizio costante dell’umana intelligenza? In verità, ogni teologia —ogni discorso su Dio — troverà la sua legittimazione nella misura in cui sarà in grado di indicare il modo in cui riesce a scorgere il luogo dove ogni mistero non ha più misteri: il luogo stesso di Dio.
Per noi cristiani questo luogo è Gesù di Nazaret. Il principio fondante e fondamentale della teologia cristiana è allora il seguente: essa può dire qualcosa di Dio, unicamente perché Dio ha detto qualcosa di sé. E lo ha detto in Gesù. Per tale ragione, infine, la teologia cristiana dovrà sempre, in ogni tempo, ripartire da Gesù.

Armando Matteo, docente di teologia all’Urbaniana

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