Il tempo scorre inesorabilmente, un altro anno è passato, ed ecco ne inizia uno nuovo, al quale quasi sempre leghiamo attese, speranze; ma soprattutto, rimandiamo all’anno che inizia ciò che dovevamo fare e non abbiamo ancora fatto. Anche questo però dipende dalle stagioni della vita che viviamo, perché con il passare degli anni si impone sempre più davanti a noi il principio della realtà: e così siamo posti di fronte alle difficoltà incontrate, ai progetti caduti nel vuoto, a sogni che si mostrano illusori, a fallimenti ineludibili… Vengono inoltre meno le energie e gli entusiasmi della giovinezza e appaiono le tentazioni, prima sconosciute, connesse al crescente cinismo. Così il passare del tempo ci opprime, «non abbiamo più tempo», ripetiamo spesso, anche a causa della dittatura dei tempi della tecnica e dell’informatica, e finiamo per non vivere più nel tempo ma nell’accelerazione del tempo. Abitare il tempo significa invece abitare ciò che viviamo, ritrovare il senso della durata, darsi tempo per guardare indietro, in avanti, e dunque per considerare con sapienza il presente, assumendo la realtà: in una parola, siamo chiamati a fare del tempo il luogo, lo spazio della vita. Ed ecco che allora, finalmente, il tempo si manifesta come il senso della vita. Si tratta perciò di combattere l’alienazione creata all’idolo del tempo che ci domina: non solo nella forma del “non avere tempo” ma – come si dice con superficialità – nella convinzione che “il tempo è denaro”, generatore simbolico di tutti i valori e perciò non più mezzo ma fine che determina i bisogni e la produzione per soddisfarli. La sapienza afferma: «Impara a contare i tuoi giorni e il tuo cuore discernerà la sapienza». Sì, ci è chiesto di contare i giorni, cercando di rispondere alla prima domanda presente nel grande codice della Bibbia: «O terrestre, dove sei?». Dove sei nel tuo cammino di umanizzazione, dove sei nel rapporto con gli altri, dove ti collochi nella società umana? Il solo fatto di essere vivi è una benedizione, è ciò di cui essere grati al mondo, perché la cosa più importante nella vita è la vita stessa. La fine di un anno è dunque l’ora per dire: «Al passato, grazie; al futuro, sì!». E lo scambio degli auguri non sia un gesto formale e scaramantico ma ci porti ad assumere una precisa responsabilità e a rivestirla di impegni concreti: sappiamo dare finalmente alla fraternità il suo ruolo decisivo, in modo che libertà e uguaglianza possano, grazie a un tale fondamento, essere davvero instaurate nella società? Rinasca la solidarietà tra tutti noi appartenenti all’unica umanità, una solidarietà tra generazioni e tra popolazioni diverse. Così sapremo impegnarci per affrontare a livello globale i problemi che opprimono l’umanità: cambiamenti climatici, guerre, migrazioni, violazioni dei diritti umani… Si tratta di sperare contro ogni speranza: ma si può sperare solo “insieme”, mai da soli, mai senza l’altro.
Monastero di Bose