Il divario tra ricchi e poveri

Si allarga sempre più il fossato tra i pochissimi che posseggono molto e i moltissimi che posseggono poco.

La pandemia da Covid-19, la guerra in Ucraina e il grido disperato che si alza da più parti rendono quanto mai attuali le parole consegnate da B. Pascal al Pensiero n. 367: «Noi corriamo senza preoccuparci verso il precipizio, dopo esserci messi qualcosa davanti agli occhi per evitare di vederlo». Tra le cose che cerchiamo di non vedere e che, comunque, stanno accompagnando verso il precipizio un’umanità sempre meno incline a farsi aprire occhi e intelligenza, vi sono i numeri che registrano le sempre più insopportabili disuguaglianze nella distribuzione delle risorse. Con buona pace di quanti prospettavano un mondo che avrebbe imboccato la strada di una maggiore equità sociale, l’emergenza sanitaria legata al coronavirus ha notevolmente allargato il divario tra ricchi e poveri. Tanto da aver spinto qualcuno a parlare di «pandemia della disuguaglianza» e di «virus della disuguaglianza», capaci di devastare tante vite e di rendere davvero faticosa la creazione di spazi credibili di speranza. Cosa dire, infatti, di fronte ai report pressoché coincidenti pubblicati da Oxfam international e, per altri versi, da Caritas?
Gli indicatori offerti confermano il trend che da alcuni anni fa registrare un crescente divario tra i pochissimi che posseggono molto e i moltissimi che posseggono poco. «I 10 super ricchi», afferma la direttrice di Oxfam Gabriela Bucher, «detengono una ricchezza sei volte superiore al patrimonio del 40% più povero della popolazione mondiale, composto da 3,1 miliardi persone». E, durante la pandemia, i patrimoni dei 10 uomini più ricchi del mondo sono raddoppiati, mentre nello stesso periodo almeno 163 milioni di persone sono cadute in povertà. Dall’analisi delle politiche economiche e dei criteri che guidano la finanza emerge con evidenza che la sorte di quei 3,1 miliardi di persone non è tra le preoccupazioni principali dei nostri governanti. Il “precipizio” evocato da Pascal, e verso il quale siamo incamminati, ha tanti nomi. Il primo è la sempre più lontana auspicata coesione sociale; proprio quella che servirebbe per neutralizzare le crescenti tensioni sociali. Tra le ipocrisie destinate solo a distrarre l’attenzione dallo scandalo delle disuguaglianze, va annoveratala teorizzazione del cosiddetto “sgocciolamento” a valle del denaro dei ricchi, presentato quasi come soluzione automatica al problema delle diseguaglianze. Nell’enciclica Fratelli tutti, papa Francesco contesta con forza questa teorizzazione. Dalle tasche dei moderni Paperoni, infatti, non trabocca e non sgocciola proprio nulla peri poveri. È dal 2015 che l’1% più ricco dell’umanità possiede più del restante 99%. Ciò vuol dire che l’attuale sistema economico favorisce l’accumulo di risorse nelle mani di una élite super privilegiata ai danni dei più poveri (in maggioranza donne). Altro che “sgocciolamento”! «La speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fa-re strage», si legge al numero 168 della Fratelli tutti. «Dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno». Non ci si può, insomma, nutrire solo di algoritmi e di previsioni. D’altra parte, la finanziarizzazione dell’economia conti-nua a permettere al 10% della popolazione mondiale di consumare il 90% dei beni; e il risultato devastante di questa ingiustizia sono i 2 miliardi di individui che vivono con meno di 2 euro al giorno. E allora, da dove attingere le energie per non sentirsi condannati all’inerzia, se non proprio al soffocamento? Papa Francesco invoca il “principio della fratellanza”, non come comoda e retorica via di fuga. È consapevole che, per quanto originario, il compito della fraternità non può essere codificato, sfugge alla presa delle leggi ed è esposto alla facile trasgressione. Eppure, come afferma il filosofo francese Edgar Morin, la fratellanza è l’unico «mezzo per resistere alla crudeltà del mondo». La fratellanza assicura una base antropologica, etica e spirituale all’indispensabile processo di rinnovamento e di cambiamento che deve coinvolgere l’economia e il mondo della finanza. E, per farlo, papa Francesco entra in dialogo aperto e costruttivo con la tradizione di pensiero che si richiama al motto della Rivolu-zione francese (1789): liberté, égalité, fraternité. Trittico che sintetizzava, in una forma efficace, l’intero programma della modernità, ma che l’ordine post-rivoluzionario ha poi abbandonato, fino alla cancellazione della fraternità dal lessico politico-economico. «Che cosa accade», si chiede papa Francesco, «senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia» (Fratelli tutti 103). Allo stesso modo, l’uguaglianza senza la fraternità rimane un valore astratto. Si tratta di un processo che chiede non solo di uscire dal cerchio della finanza speculativa, la quale — come i “briganti della strada” della parabola evangelica del Buon samaritano — lungo la via lascia ferite intere popolazioni, ma anche dal cerchio dei “segreti alleati”: coloro che «passano per la strada guardando dall’altra parte», chiudendo così «il cerchio tra quelli che usano e ingannano la società per prosciugarla e quelli che pensano di mantenere la purezza nella loro funzione critica, ma nello stesso tempo vivono di quel sistema e delle sue risorse» (Fratelli tutti 7 5). Si tratta di vincere la tendenza costante all’egoismo che Francesco — ricorrendo a un termine della tradizione cristiana — non esita a chiamare “concupiscenza”. La fraternità — anche nel mondo della finanza — richiama quello spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni che pongano al centro la persona nella sua interezza.

di Nunzio Galantino presidente dell’amministrazione della Sede Apostolica.

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