La questione dell’adulto nella trasmissione della fede

Per la trasmissione della fede tra le generazioni c’è da rilevare che la maggioranza della popolazione adulta non prega né legge il Vangelo.
di Armando Matteo (teologo).

Nessuno meglio di papa Francesco ha saputo cogliere il particolare momento drammatico in cui si trova oggi la questione della trasmissione della fede tra le generazioni. Al numero 70 dell’Evangelii gaudium, si trovano considerazioni di speciale chiarezza e aderenza alla realtà dei fatti, che purtroppo non hanno ancora trovato nella coscienza ecclesiale la giusta recezio-ne e il doveroso sviluppo.
Leggiamo insieme: «Nemmeno possiamo ignorare che, negli ultimi decenni, si è prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico. È innegabile che molti si sentono delusi e cessano di identificarsi con la tradizione cattolica, che aumentano i genitori che non battezzano i figli e non insegnano loro a pregare, e che c’è un certo esodo verso altre comunità di fede. Alcune cause di questa rottura sono: la mancanza di spazi di dialogo in famiglia, l’influsso dei mezzi di comunicazione, il soggettivismo relativista, il consumismo sfrenato che stimola il mercato, la mancanza di accompagnamento pastorale dei più poveri, l’assenza di un’accoglienza cordiale nelle nostre istituzioni e la nostra difficoltà di ricreare l’adesione mistica della fede in uno scenario religioso plurale». Viene qui registrato da parte di papa Francesco una sostanziale rottura del processo di trasmissione della fede all’interno delle famiglie. Si tratta di una presa d’atto particolarmente dolorosa che dovrebbe mettere in atto processi di autentico rinnovamento delle prassi ecclesiali relative all’iniziazione cristiana dei più piccoli, ma siamo davvero ancora molto indietro su questo punto. E la ragione è presto detta: come comunità cattolica, facciamo una grande fatica a cogliere quella grande trasformazione della popolazione adulta occidentale, che ha trasformato le dinamiche educa-tive e di iniziazione all’esperienza di fede proprie dell’ambiente familiare. Se di per sé è chiaro che l’esperienza di fede è un’esperienza eminentemente personale, è altrettanto vero che nessun piccolo impara a credere da solo, così come nessun piccolo diventa adulto da solo. I cuccioli diventano adulti e diventano anche adulti credenti sempre ispirandosi all’atmosfera che respirano in famiglia, innanzitutto, e poi nel più ampio raggio della società, man mano che iniziano a frequentarla.
E come gli occhi dei genitori, le loro parole, i loro gesti, la loro postura complessiva sono decisive per la formazione umana dei piccoli, allo stesso modo la testimo-nianza di fede genitoriale è determinante per la formazione credente degli stessi piccoli. Si potrebbe dire che, in linea generale, per i nostri cuccioli lo stile d’essere al mondo dei genitori rappresenta non solo lo specchio in cui il figlio prova a tracciare la sua identità personale, ma rappresenta anche il primo spazio concreto in cui percepire sensibilmente la presenza di Dio e il suo amore incondizionato per ciascuno di noi.
Qui parliamo espressamente del “corpo del genitore”. Per quel delicato processo che è la crescita a ogni livello dei nostri piccoli — e dunque a livello psichico, umano e spirituale — ciò che ha valore ed efficacia di indirizzamento non sono certo le parole o le raccomandazioni genitoriali ad avere il primo posto. Quel posto è proprio il loro corpo, il loro semplice essere al mondo, il loro modo concreto di vivere e, dunque, di manifestare la loro fede.

Gli italiani: «gente di poca fede».
A questo riguardo, purtroppo, c’è da registrare che la stragrande maggioranza della popolazione adulta mostra una lontananza rispetto all’esperienza della fede cristiana. Gli adulti, oggi, non pregano quasi più, non leggono il Vangelo, frequentano poco la parrocchia o un qualche movimento e associazione cattolica e, in genere, esprimono un atteggiamento di poca fede. Non a caso, il sociologo Franco Garelli ha parlato degli italiani come «gente di poca fede». Per la questione della trasmissione della fede questo è rilevante. Per un piccolo l’atteggiamento del proprio genitore rispetto alla fede vale mille volte di più di una bella catechesi, di una splendida omelia e anche di un ambiente parrocchiale particolarmente accogliente. Nel suo cuore è questo ciò che accade: se Dio non è importante per mio padre e per mia madre, non lo può essere per me; se mio padre e mia madre non pregano, la fede non c’entra con la vita; se non c’è posto per Dio negli occhi di mio padre e di mia madre, non esiste proprio il problema del posto di Dio nella mia esistenza. Nona caso, nella lunga citazio-
ne riportata sopra, papa Francesco insiste sui genitori che non insegnano a pregare ai figli, come una delle cause della rottura della trasmissione della fede tra le generazioni. E, ovviamente, i genitori non insegnano a pregare ai figli perché loro stessi per primi non pregano più o, semplicemente, hanno dimenticato come e perché si prega. Da questo punto di vista, a me pare che sia giunta l’ora che la comunità ecclesiale rivolga più attenzione alla trasformazione del mondo adulto di cui si diceva prima. Lo dobbiamo proprio per la cura che portiamo per i cuccioli di questo tempo, per il desiderio che nutriamo che essi possano crescere bene e credere con gioia, per l’impegno che ancora con abbondanza la comunità ecclesiale profonde nei confronti delle generazioni più giovani e che, purtroppo, sempre più raramente dà i risultati sperati. E tempo, per citare i vescovi italiani, di rimettere l’adulto al centro della pastorale. Nessuno avrà dimenticato quella coraggiosa Nota pastorale della Cei intitolata Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia del 2004. Al paragrafo 9 è possibile leggere: «La parrocchia missionaria, per non scadere in sterile retorica, deve servire la vita concreta delle persone, soprattutto la crescita dei ragazzi e dei giovani, la dignità della donna e la sua vocazione — tra realizzazione di sé nel lavoro e nella società e dono di sé nella generazione — e la difficile tenuta delle famiglie, ricordando che il mistero santo di Dio raggiunge tutte le persone in ogni risvolto della loro esistenza. A questo punto, però, non si può non rileggere con coraggio l’intera azione pastorale, perché, come tutti avvertono e sollecitano, sia più attenta e aperta alla questione dell’adulto».

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