Appunti sulla preghiera – Parte seconda

Ostacoli: peccati.

Sul cammino della preghiera che sempre apre alla comunione con Dio ci sono altri ostacoli: la nostra lontananza da lui, i nostri peccati, le nostre contraddizioni all’amore gratuito che Dio sempre rinnova nei nostri confronti. Metterci davanti a Dio significa avere il coraggio di Pietro che, riconosciuto Gesù e la sua santità, non può fare altro che dirgli: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore!” (Lc 5,8). Sì, il Signore è santo, e di fronte alla sua santità dobbiamo confessare: “Sono una persona dalle labbra impure!” (Is 6,5).
Infatti abbiamo coscienza di quante volte e di come abbiamo mancato di fede, di come, non vivendo la volontà di Dio, non lo abbiamo amato. E il male commesso ci fa fuggire da Dio, ci fa addirittura aver paura di lui, in modo oscuro e non sempre a noi evidente. In molti casi fuggiamo da Dio e ignoriamo la sua presenza proprio a causa di un’indegnità timorosa che abita le nostre profondità, Ma il Signore, che non è un occhio che ci spia, ci chiama: “Dove sei?” (Gen 3,9), non per rimproverarci ma per riannodare il rapporto e permetterci di ricominciare un nuovo cammino.
Con semplicità, se affiorano i nostri peccati, umilmente ma senza ipocrisia né servilismi mettiamoli alla luce del suo volto, avviciniamoli alla sua santità che è contagiosa, distrugge i peccati e sana tutte le ferite: “Davanti a lui acquietiamo il nostro cuore, perché se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Gv 3,19-20). Pregare è esporsi al Signore così come si è. Non prega chi davanti al Signore, come il fariseo al tempio, si ammanta e si vanta del bene che ha fatto (cf. Lc 18,11-12); prega chi, come il pubblicano, osa solo dire: “O Dio, abbi misericordia di me peccatore! (Lc 18,13).

L’ascolto.

La nostra preghiera sovente è minacciata di non essere cristiana: questo accade quando cerchiamo di pregare parlando a Dio, moltiplicando le parole davanti a lui come fanno i pagani (cf. Mt 6,7), manifestando a Dio le nostre richieste senza neppure pensare o mettere in conto che nella preghiera, come ci è stata insegnata nella Bibbia, la cosa più importante è ascoltare.
Non si può pregare secondo la nostra fede senza ascoltare Dio, mentre ascoltare Dio è pregare perché, anche se non diciamo nulla, è comunque un atto di ricezione, un “amen” detto alla sua parola con gli orecchi del nostro cuore.
E l’esperienza mi dice che, se la nostra preghiera conosce fallimenti, è perché pretendiamo di essere noi i suoi protagonisti.
Chi invece inizia la preghiera è in verità il Signore, è Dio che è Parola rivolta a noi, una Parola che innanzitutto manifesta il suo amore per noi: Dio è Parola, l’uomo è in primo luogo ascolto. Ecco perché il grande comandamento di Dio ai credenti è: “Ascolta” (Shema‘: Dt 6,4) e il credente è colui che ascolta e crede perché ha ascoltato. “La fede” – dice l’Apostolo – “nasce dall’ascolto” (Rm 10,17). Prega dunque chi ha “un cuore che ascolta” (leb shomea‘: 1Re 3,9), seconda a richiesta di Salomone: questo è “il dono tra i doni”, l’unico veramente necessario.
Quando desideriamo pregare, dobbiamo dunque predisporci ad ascoltare, nel profondo del
nostro cuore, quella Presenza eloquente del Dio che abita in noi. Non è un’operazione facile, perché richiede il silenzio, lo stare in quiete, in disparte, e il cercare di sentire una voce come di silenzio trattenuto, come di brezza silenziosa che ci parla (cf. 1Re 19,12). Come a Elia sull’Oreb, il Signore non ci parla nella voce del tuono, né nel turbamento del terremoto, né nel vento tempestoso (cf. 1Re 19,11-12) ma nel silenzio che va ascoltato come grembo della Parola che Dio vuole indirizzarci. Ascoltare, dunque, quale principio della preghiera cristiana.

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