Caritas: i volti delle povertà ambrosiane

Nell’indagine più centri d’ascolto coinvolti e più beneficiari: famiglie con minori, lavoratori, migranti. Calano le richieste di lavoro, aumentano quelle di integrazione del reddito.

Più centri d’ascolto coinvolti nella rilevazione (168 invece dei 137 del 2022, ovvero+22,6%, cui si aggiungono i 3 servizi diocesani Sam, Sai e Siloe); più utenti incontrati e censiti (17.238, con un aumento del 17,9% rispetto all’anno precedente); più richieste di aiuto e intervento registrate (59.354, +24% rispetto al 2022). Il Rapporto sulle povertà nella diocesi ambrosiana – Dati 2023 è stato presentato oggi, mercoledì 16 ottobre, vigilia della Giornata mondiale di lotta alla povertà, nella sede di Caritas Ambrosiana Il documento, prodotto dall’Osservatorio delle povertà e delle risorse della Caritas diocesana, recepisce gli esiti del lavoro condotto da una rete sempre più ampia di centri d’ascolto (più di 400 quelli attualmente operanti nella diocesi di Milano) e di servizi, che condividono metodo e strumenti di rilevazione. Ne scaturisce una fotografia sempre più fedele e rappresentativa dei fenomeni di povertà che corrodono la società milanese e lombarda. E che almeno in parte sfuggono alla statistica, o quantomeno alla conoscenza pubblica, perché diverse persone in difficoltà che si rivolgono a Caritas non entrano nei radar dei servizi sociali o sanitari istituzionali.

Molte più richieste.

Come detto, i beneficiari dell’ascolto e dell’aiuto garantiti da Caritas nel 2023 sono aumentati, perché aumentato è il numero dei centri d’ascolto che partecipano alla rilevazione. Ancora più marcatamente si è accresciuto il numero delle richieste rivolte a operatori sociali e volontari. Letti insieme, questi dati confermano che l’area della povertà assoluta (come attestato dalle ricerche ufficiali di Istat) si va consolidando anche nei territori ambrosiani, si va intensificando e facendo più multidimensionale e complessa (ogni povero tende a manifestare una pluralità di richieste in relazione a una pluralità di bisogni, e a reiterarle per periodi sempre più prolungati), si va distribuendo tra servizi di aiuto (pubblici e privati) sempre più numerosi e specializzati.
Nel dettaglio, coloro che nel 2023 si sono rivolti alla rete Caritas sono stati soprattutto donne (quasi 6 su 10, ma gli uomini erano il 38% nel 2022 e sono diventati il 40,4%), immigrati (63,9%, contro il 60,9% del 2022:ci si riavvicina al rapporto con gli italiani che era “classico” negli anni prepandemici, 7:3), disoccupati (categoria che non è però più maggioritaria in termini assoluti, essendo in costante flessione ed essendosi attestata al 49,1%, mentre si consolida la significativa presenza degli occupati che si rivolgono a Caritas, i quali sono ormai il 23,9% del totale).

Al lavoro, ma sempre più poveri.

Quest’ultimo dato introduce una tra le tendenze più chiare colte dal Rapporto 2023: la conferma della rilevanza del fenomeno del “lavoro povero”. Ai centri d’ascolto e ai servizi Caritas continuano a crescere le richieste di aiuto dettate da insufficienza di reddito, mentre
si riducono i casi con problemi di lavoro. Se l’incidenza percentuale dei working poor appare
stabilizzarsi, l’evidenza è che in media si tratti di soggetti sempre più intensamente poveri, cioè sempre più lontani dalla disponibilità di risorse economiche sufficienti a garantire una dignitosa qualità di vita: tra gli occupati, denunciano infatti problemi di reddito ben l’80,9% (erano il 77,5% nel 2022).
Il Rapporto 2023 conferma poi che le famiglie con figli minori hanno una maggior probabilità di cadere in povertà. Anche quelle non numerose: quasi 1 nucleo su 4,tra quelli che si rivolgono ai centri d’ascolto, ha al suo interno figli under 18, che sono in media 2,01. Nel 23,5% dei casi, alle porte di Caritas bussano madri sole (nubili o separate o divorziate o vedove); in quasi 3 casi su 4, le famiglie povere con figli minori sono di nazionalità non italiana.

Migranti: norme generatrici di precarietà.

Quanto alle situazioni riguardanti i migranti, il fatto che la loro presenza nei centri d’ascolto torni a essere più accentuata, in termini percentuali, è testimonianza del fatto che chi dispone di minori reti sociali, minori capacità di orientarsi nel labirinto delle burocrazie, minori diritti riconosciuti dalle leggi e, in generale, di minori opportunità, tende a rimanere più stabilmente impaludato nello stagno della povertà e dell’esclusione sociale.
Un dato eminentemente “ambrosiano” riguarda la forte impennata degli accessi ai centri d’ascolto da parte di membri di specifiche nazionalità, in particolar modo i peruviani (sono stati il 18,5% dei migranti che hanno richiesto aiuto, +54,5% rispetto all’anno precedente): a far da detonatore, in questo caso, sono le contraddizioni del sistema di norme che regolano il diritto d’asilo e in generale gli ingressi in Italia. Norme che, mantenendo rigidi e ristretti i canali d’accesso legittimi, finiscono per espandere l’area dell’irregolarità giuridica e della precarietà sociale ed esistenziale. Infine, alcuni dati sembrano evidenziare che l’acquisizione della cittadinanza italiana non è di per sé decisiva nell’affrancare da una “carriera” di povertà: chi era in situazione di disagio prima di divenire cittadino italiano, rischia con forte probabilità di rimanervi impigliato anche dopo. Affinché tale acquisizione sia piena ed effettiva, deve corrispondere al compimento di percorsi di formazione e inclusione, sui quali occorre scommettere e investire seriamente.

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