Il magistero di Papa Francesco

«Non sono io. Questo è il cammino dal Concilio che va avanti, che s’intensifica. Io seguo la Chiesa. Non ho dato nessuna accelerazione. Nella misura in cui andiamo avanti, il cammino sembra andare più veloce, è il motus in fine velocior come dice Aristotele». Con queste affermazioni, nell’intervista rilasciata per il 17 novembre 2016, papa Francesco delineava con molta chiarezza la prospettiva del suo ministero petrino e ricordava – sgombrando il campo da confusioni – che per sua natura la Chiesa non è proprietà del Papa e che dunque non è il Papa a fare la Chiesa, perché l’unico artefice è Cristo e Sua è la Chiesa ( Ecclesia Suam). Dichiarava così di andare avanti nel solco della Tradizione e di seguire la Chiesa. Una prospettiva che non era una novità. Già la sera del 13 marzo 2013, subito dopo l’elezione, affacciandosi al balcone di San Pietro per la prima benedizione apostolica, papa Francesco l’aveva esplicitata come programma sulla base delle fonti conciliari. In quelle prime parole infatti, che sembravano estemporanee, vi era già presente il riferimento diretto a due documenti centrali del Vaticano II: la Costituzione dogmatica Lumen gentium sulla natura della Chiesa e la Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Queste le sue parole: « Fratelli e sorelle, buonasera! E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa […] sia fruttuoso per l’evangelizzazione». È l’incipit con il quale il Papa indicava da subito la strada sulla quale avrebbe camminato. E nel quale manifestava da subito la volontà di farsi prossimo, fratello per tutti, quale espressione dell’«intima unione della Chiesa con l’intera famiglia umana», come viene descritta nel Proemio della Gaudium et spes. La quale sarà all’origine dell’invito alla prossimità e richiamo alla «conversione pastorale» rivolto a tutta la compagine ecclesiale a partire dall’esortazione Evangelii gaudium fino all’enciclica Fratelli tutti, dove, senza frontiere ha evidenziato come Cristo interpella affinché tutti diventiamo prossimi degli altri. L’invito poi a compiere il cammino insieme rimandava direttamente al secondo capitolo della Lumen gentium dove si afferma, testuali parole, che «vescovo e popolo fanno un cammino insieme». Da qui la sinodalità, che significa appunto “camminare insieme”, modalità costitutiva e stile che appartengono alla natura apostolica propria della Chiesa e che in questi dieci anni è stata rimessa in moto nei sinodi promossi dal Papa a partire da quello sulla famiglia. Come Vescovo della Chiesa di Roma, «che presiede nella carità tutte le Chiese» riprendeva inoltre la sorgente del suo ministero universale a cui è affidato il compito in quanto Successore di Pietro: quello di ricercare l’unità dei cristiani. Ricerca che lo ha portato a intensificare il cammino cominciato dal Concilio con il decreto Unitatis redintegratio. Per concludere infine «perché ci sia una grande fratellanza». Preghiera con la quale prefigurava la ricerca dell’unità del genere umano e della pace, che sono confacenti al ministero petrino e che lo hanno portato attraverso il dialogo – valore non negoziabile per un cristiano perché è radicato nell’agire di Dio verso l’uomo, come tutta la storia della Salvezza evidenzia – a gettare ponti dall’Occidente all’Oriente. Questo primo pronunciamento nel suo insieme è perciò da considerarsi il compendio di una visione ecclesiale scaturita dal solco della Tradizione e maturata dall’ecclesiologia conciliare, che nel corso del suo pontificato è andata avanti, sviluppandosi e intensificandosi. Si è trattato dunque di un programma che sgorga dall’aver fatto proprio, come figlio, il Concilio Vaticano II nella sua interezza come ressourcement «risalita alle sorgenti», insieme dalla «capacità che lì la Chiesa ha mostrato di lasciarsi fecondare dalla perenne novità del Vangelo di Cristo» come ha spiegato nel Discorso all’Associazione teologica italiana il 29 dicembre 2017. Da quella benedizione iniziale del pontificato si è così delineato il cammino percorso lungo le strade maestre indicate dal Concilio: la risalita alle fonti del Vangelo, una rinnovata missionarietà, la sinodalità, il servizio ecclesiale nella povertà e il dialogo con la contemporaneità, la ricerca dell’unità con i fratelli cristiani, il dialogo interreligioso, la ricerca della pace. E seguire il cammino della Chiesa che dal Concilio va avanti cosa ha significato in questi anni? Ha significato, ad esempio, proseguire quanto affermato nella Nostra aetate firmata da Paolo VI e da tutti i Padri conciliari il 28 ottobre del 1965 e legarsi ai destini degli uomini ai quali la Chiesa non può essere estranea. Ha significato portare avanti il dialogo con le altre religioni e considerarle al servizio della fraternità e della pace. Ha significato intraprendere i viaggi apostolici dalla Terra Santa all’Egitto, dal Marocco all’Iraq, al Kazakistan, al Bahrein, in Sud Sudan e firmare il documento di Abu Dhabi con il leader sunnita di Al-Azhar, siglato il 4 febbraio 2019: « Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni, in particolare, non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le culture. È giunto il tempo in cui le religioni si spendano più attivamente, con coraggio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace». Una traiettoria in sostanza, che comprende il disegno della fraternità non come strumento o auspicio, ma come opera da applicare ai rapporti internazionali, per superare i mali e le ombre di un mondo volto a implodere. Quella che già nella sua enciclica sociale Caritas in veritate Benedetto XVI aveva indicato come «l’ideale cristiano di un’unica famiglia dei popoli, solidale nella comune fraternità» ed è presente nella prima lettera dell’Apostolo Pietro: «Cristo ci invita alla fratellanza universale». Fraternità che affonda le sue radici nel «Vangelo di Gesù Cristo» come scrive in Fratelli tutti: « Altri bevono ad altre fonti – afferma Francesco – . Per noi, questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo». Dal Concilio al Vangelo, dunque. E che a oltre dieci anni dall’inizio del suo ministero, papa Francesco debba ancora ribadire come le sue peregrinationes «non sono un capriccio, sono la linea che il Concilio ha insegnato » e che «siamo ancora a metà strada per attuarlo», la dice lunga su quanto ancora ci sia bisogno di insistere affinché si comprenda non solo quali sono le vie d’uscita in un mondo travolto dai conflitti, ma dove affondano le radici dell’agire e del magistero di papa Francesco e cos’è la Chiesa e la sua missione nel solco della Tradizione. Sarà forse utile dunque ripercorrere come l’attuale Successore di Pietro ha seguito fin qui le strade maestre indicate dal Concilio e sulle quali oggi sta continuando a camminare. A cominciare dall’inizio: dalla rinnovata missionarietà risalendo, con il Concilio, alle sorgenti.

Stefania Falasca

Messaggio per la giornata del Seminario Egli entrò per rimanere con loro ( Lc 24,29)

Ciò che è ovvio non è vero

Sembra ovvio che ci siano buoni motivi per essere tristi. Infatti le speranze sono finite nel niente, dicono i due discepoli in cammino verso Emmaus. Ma non è vero. Sembra ovvio che la morte sia la fine di tutto: l’aspettativa che un profeta, un inviato da Dio, un uomo all’altezza della missione possa cambiare la situazione, tutto finisce nella morte. Anche lui è morto e ogni aspettativa è stata delusa. Ma non è vero. Nello stesso modo, nel nostro tempo, sembra ovvio che non ci sia ragione per essere lieti, non ci sia argomento persuasivo per coltivare speranza. Ma non è vero. In realtà la morte è stata vinta, Gesù è risorto, Gesù rende partecipi della sua vita e chiama a condividere la sua missione.

La verità si annuncia con l’incontro sorprendente

Si comincia a intuire la verità che smentisce l’ovvio, quando avviene l’incontro sorprendente. Fin quando si rimane ai discorsi “tra noi”, come avviene ai due discepoli in cammino verso Emmaus, non si fa altro che confermarsi nei luoghi comuni e nella banalità dell’ovvio. Ma un inatteso compagno di viaggio avvia un dialogo sconcertante: sembra uno straniero spaesato e fuori dalla realtà. In realtà è l’unico che può dire la verità e riaprire pensieri ardenti di speranza.
L’intuizione che la vita non sia un ovvio andare verso la morte, ma una vocazione alla vita, alla gioia, alla missione di annunciare speranza avviene sempre per un incontro sorprendente. È Gesù stesso che ti raggiunge in un modo che non sai, mentre pratichi le solite preghiere. È un evento che ti impone un fermarti con il volto triste (c:fr Lc 24,17), è l’incontro con un testimone, un uomo, una donna, un giovane seminarista, un prete, una suora, un povero. Il nostro Seminario, come altre case di formazione, ha accolto e poi inviato molti che con la loro vita, le loro parole, la loro gioia e la loro dedizione si sono messi per strada e hanno incrociato molti viandanti tristi e li hanno introdotti nella verità della vita, della loro vita, della vita di Gesù.
Dobbiamo esprimere la più profonda gratitudine per i preti della nostra Diocesi, testimoni della risurrezione di Gesù e incoraggiare coloro che oggi si preparano per essere questo incontro sorprendente che introduce alla fede.

Nella notte un ardore, una luce: la rivelazione

Lo sconcerto, la sorpresa sono solo l’inizio. Dell’incontro potrebbe restare anche solo il ricordo di una emozione, l’esperienza di una intuizione illuminante: poi la vita, la superficialità, l’ingranaggio spietato delle abitudini e delle pigrizie possono ricondurre all’opaco, noioso, disperato ritorno nell’ovvietà banale. Invece l’incontro può diventare cammino condiviso, ascolto di quella parola che fa ardere il cuore, l’esperienza di quella amicizia che accende il desiderio di stare insieme, fino a condividere ancora un’ora, ancora un giorno, anche tutta la vita.
L’insistenza del desiderio (Resta con noi: Lc 24,29) trova la casa in Gesù entrò per rimanere con loro. In questo dimorare si compie la rivelazione, irrompe la luce, anche se è notte. Nello spezzare del pane i discepoli riconoscono la verità di Gesù e della loro vita. Il pane non è solo pane: oltre l’ovvio, è cibo di vita eterna; la dimora non è solo riparo nella notte, oltre l’ovvio, è la casa dove si condivide la fede e la carità; le parole non sono solo parole, oltre l’ovvio, sono scintille che fanno ardere il cuore; il tempo non è solo ciclo di giorni e di notte, logorante invecchiare, oltre l’ovvio, è tempo di missione.
Nella giornata per il Seminario la Diocesi è invitata a riconoscere che il Seminario non è solo un luogo da amare, una struttura da sostenere, una domanda ossessiva sul numero dei seminaristi. Oltre l’ovvio: è una comunità che accompagna alla rivelazione della luce della presenza di Gesù, che offre la testimonianza di un percorso che insegna a riconoscere che la vita è vocazione, a formare discepoli ardenti per la missione, preti per il servizio della Chiesa.
Ai seminaristi tutta la mia simpatia, il mio incoraggiamento. Agli educatori tutta la mia stima e la mia fiducia. A tutti i fedeli della Diocesi il mio invito alla preghiera e alla vicinanza affettuosa e generosa al Seminario. A tutti i ragazzi, gli adolescenti, i giovani l’invito a non sottrarsi all’incontro sorprendente che può aprire percorsi oltre l’ovvio, oltre lo smarrimento, la tristezza e la rassegnazione: verso la rivelazione che illumina la vita e chiama a cammini ardenti di speranza.

+ Mario Delpini Arcivescovo di Milano

Messaggio di papa Francesco per la giornata mondiale di preghiera per la cura del creato

1° settembre 2023

“Che scorrano la giustizia e la pace” è quest’anno il tema del Tempo ecumenico del Creato, ispirato dalle parole del profeta Amos: «Come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne» (5,24). Questa espressiva immagine di Amos ci dice quello che Dio desidera. Dio vuole che regni la giustizia, che è essenziale per la nostra vita di figli a immagine di Dio come l’acqua lo è per la nostra sopravvivenza fisica. Questa giustizia deve emergere laddove è necessaria, non nascondersi troppo in profondità o svanire come acqua che evapora, prima di poterci sostenere. Dio vuole che ciascuno cerchi di essere giusto in ogni situazione, che si sforzi sempre di vivere secondo le sue leggi e di rendere quindi possibile alla vita di fiorire in pienezza. Quando cerchiamo prima di tutto il regno di Dio (cfr Mt 6,33), mantenendo una giusta relazione con Dio, l’umanità e la natura, allora la giustizia e la pace possono scorrere, come una corrente inesauribile di acqua pura, nutrendo l’umanità e tutte le creature. Nel luglio 2022, in una bella giornata estiva, ho meditato su questi argomenti durante il mio pellegrinaggio sulle sponde del Lago Sant’Anna, nella provincia di Alberta, in Canada. Quel lago è stato ed è un luogo di pellegrinaggio per molte generazioni di indigeni. Come ho detto in quell’occasione, accompagnato dal suono dei tamburi: «Quanti cuori sono giunti qui desiderosi e ansimanti, gravati dai pesi della vita, e presso queste acque hanno trovato la consolazione e la forza per andare avanti! Anche qui, immersi nel creato, c’è un altro battito che possiamo ascoltare, quello materno della terra. E così come il battito dei bimbi, fin dal grembo, è in armonia con quello delle madri, così per crescere da esseri umani abbiamo bisogno di cadenzare i ritmi della vita a quelli della creazione che ci dà vita». [1] In questo Tempo del Creato, soffermiamoci su questi battiti del cuore: il nostro, quello delle nostre madri e delle nostre nonne, il battito del cuore creato e del cuore di Dio. Oggi essi non sono in armonia, non battono insieme nella giustizia e nella pace. A troppi viene impedito di abbeverarsi a questo fiume possente. Ascoltiamo pertanto l’appello a stare a fianco delle vittime dell’ingiustizia ambientale e climatica, e a porre fine a questa insensata guerra al creato. Vediamo gli effetti di questa guerra in tanti fiumi che si stanno prosciugando. «I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi», ha affermato una volta Benedetto XVI. [2] Il consumismo rapace, alimentato da cuori egoisti, sta stravolgendo il ciclo dell’acqua del pianeta. L’uso sfrenato di combustibili fossili e l’abbattimento delle foreste stanno creando un innalzamento delle temperature e provocando gravi siccità.
Spaventose carenze idriche affliggono sempre più le nostre abitazioni, dalle piccole comunità rurali alle grandi metropoli. Inoltre, industrie predatorie stanno esaurendo e inquinando le nostre fonti di acqua potabile con pratiche estreme come la fratturazione idraulica per l’estrazione di petrolio e gas, i progetti di mega-estrazione incontrollata e l’allevamento intensivo di animali. “Sorella acqua”, come la chiama San Francesco, viene saccheggiata e trasformata in «merce soggetta alle leggi del mercato» (Enc. Laudato si’, 30). Il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (IPCC) afferma che un’azione urgente per il clima può garantirci di non perdere l’occasione di creare un mondo più sostenibile e giusto. Possiamo, dobbiamo evitare che si verifichino le conseguenze peggiori. «È molto quello che si può fare!» (ibid., 180), se, come tanti ruscelli e torrenti, alla fine insieme confluiamo in un fiume potente per irrigare la vita del nostro meraviglioso pianeta e della nostra famiglia umana per le generazioni a venire. Uniamo le nostre mani e compiamo passi coraggiosi affinché la giustizia e la pace scorrano in tutta la Terra. Come possiamo contribuire al fiume potente della giustizia e della pace in questo Tempo del Creato? Cosa possiamo fare noi, soprattutto come Chiese cristiane, per risanare la nostra casa comune in modo che torni a pullulare di vita? Dobbiamo decidere di trasformare i nostri cuori, i nostri stili di vita e le politiche pubbliche che governano le nostre società. Per prima cosa, contribuiamo a questo fiume potente trasformando i nostri cuori. È essenziale se si vuole iniziare qualsiasi altra trasformazione. È la “conversione ecologica” che San Giovanni Paolo II ci ha esortato a compiere: il rinnovamento del nostro rapporto con il creato, affinché non lo consideriamo più come oggetto da sfruttare, ma al contrario lo custodiamo come dono sacro del Creatore. Rendiamoci conto, poi, che un approccio d’insieme richiede di praticare il rispetto ecologico su quattro vie: verso Dio, verso i nostri simili di oggi e di domani, verso tutta la natura e verso noi stessi. Quanto alla prima di queste dimensioni, Benedetto XVI ha individuato un’urgente necessità di comprendere che Creazione e Redenzione sono inseparabili: «Il Redentore è il Creatore e se noi non annunciamo Dio in questa sua totale grandezza – di Creatore e di Redentore – togliamo valore anche alla Redenzione». [3] La creazione si riferisce al misterioso e magnifico atto di Dio di creare questo maestoso e bellissimo pianeta e questo universo dal nulla, e anche al risultato di quell’azione, tuttora in corso, che sperimentiamo come un dono inesauribile. Durante la liturgia e la preghiera personale nella «grande cattedrale del creato», [4] ricordiamo il Grande Artista che crea tanta bellezza e riflettiamo sul mistero della scelta amorosa di creare il cosmo. In secondo luogo, contribuiamo al flusso di questo potente fiume trasformando i nostri stili di vita. Partendo dalla grata ammirazione del Creatore e del creato, pentiamoci dei nostri “peccati ecologici”, come avverte il mio fratello, il Patriarca Ecumenico Bartolomeo. Questi peccati danneggiano il mondo naturale e anche i nostri fratelli e le nostre sorelle. Con l’aiuto della grazia di Dio, adottiamo stili di vita con meno sprechi e meno consumi inutili, soprattutto laddove i processi di produzione sono tossici e insostenibili. Cerchiamo di essere il più possibile attenti alle nostre abitudini e scelte economiche, così che tutti possano stare meglio: i nostri simili, ovunque si trovino, e anche i figli dei nostri figli. Collaboriamo alla continua creazione di Dio attraverso scelte positive: facendo un uso il più moderato possibile delle risorse, praticando una gioiosa sobrietà, smaltendo e riciclando i rifiuti e ricorrendo ai prodotti e ai servizi sempre più disponibili che sono ecologicamente e socialmente responsabili. Infine, affinché il potente fiume continui a scorrere, dobbiamo trasformare le politiche pubbliche che governano le nostre società e modellano la vita dei giovani di oggi e di domani.
Politiche economiche che favoriscono per pochi ricchezze scandalose e per molti condizioni di degrado decretano la fine della pace e della giustizia. È ovvio che le Nazioni più ricche hanno accumulato un “debito ecologico” ( Laudato si’, 51). [5] I leader mondiali presenti al vertice COP28, in programma a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre di quest’anno, devono ascoltare la scienza e iniziare una transizione rapida ed equa per porre fine all’era dei combustibili fossili. Secondo gli impegni dell’Accordo di Parigi per frenare il rischio del riscaldamento globale, è un controsenso consentire la continua esplorazione ed espansione delle infrastrutture per i combustibili fossili. Alziamo la voce per fermare questa ingiustizia verso i poveri e verso i nostri figli, che subiranno gli impatti peggiori del cambiamento climatico. Faccio appello a tutte le persone di buona volontà affinché agiscano in base a questi orientamenti sulla società e sulla natura. Un’altra prospettiva parallela è specifica dell’impegno della Chiesa cattolica per la sinodalità. Quest’anno, la chiusura del Tempo del Creato, il 4 ottobre, festa di San Francesco, coinciderà con l’apertura del Sinodo sulla Sinodalità. Come i fiumi che sono alimentati da mille minuscoli ruscelli e torrenti più grandi, il processo sinodale iniziato nell’ottobre 2021 invita tutte le componenti, a livello personale e comunitario, a convergere in un fiume maestoso di riflessione e rinnovamento. Tutto il Popolo di Dio viene accolto in un coinvolgente cammino di dialogo e conversione sinodale. Allo stesso modo, come un bacino fluviale con i suoi tanti affluenti grandi e piccoli, la Chiesa è una comunione di innumerevoli Chiese locali, comunità religiose e associazioni che si alimentano della stessa acqua. Ogni sorgente aggiunge il suo contributo unico e insostituibile, finché tutte confluiscono nel vasto oceano dell’amore misericordioso di Dio. Come un fiume è fonte di vita per l’ambiente che lo circonda, così la nostra Chiesa sinodale dev’essere fonte di vita per la casa comune e per tutti coloro che vi abitano. E come un fiume dà vita a ogni sorta di specie animale e vegetale, così una Chiesa sinodale deve dare vita seminando giustizia e pace in ogni luogo che raggiunge. Nel luglio 2022 in Canada, ho ricordato il Mare di Galilea dove Gesù ha guarito e consolato tanta gente, e dove ha proclamato “una rivoluzione d’amore”. Ho appreso che il Lago Sant’Anna è anche un luogo di guarigione, consolazione e amore, un luogo che «ci ricorda che la fraternità è vera se unisce i distanti, che il messaggio di unità che il Cielo invia in terra non teme le differenze e ci invita alla comunione, alla comunione delle differenze, per ripartire insieme, perché tutti – tutti! – siamo pellegrini in cammino». [6] In questo Tempo del Creato, come seguaci di Cristo nel nostro comune cammino sinodale, viviamo, lavoriamo e preghiamo perché la nostra casa comune abbondi nuovamente di vita. Lo Spirito Santo aleggi ancora sulle acque e ci guidi a «rinnovare la faccia della terra» (cfr Sal 104,30).

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 maggio 2023.

Il discernimento nella Chiesa

Per diventare uomini del discernimento, bisogna essere coraggiosi, dire la verità a se stessi. Il discernimento è una scelta di coraggio, al contrario delle vie più comode e riduttive del rigorismo e del lassismo». Con queste parole Papa Francesco descrive uno dei concetti chiave della sua visione teologica: il discernimento. «Oggi la Chiesa ha bisogno di crescere nel discernimento» afferma Bergoglio. Abbiamo chiesto al gesuita Giacomo Costa, direttore della celebre rivista «Aggiornamenti Sociali» fino al 2021, di spiegarci meglio questo concetto e la sua dimensione ecclesiale. Costa è stato nominato da Papa Francesco segretario speciale del Sinodo dei vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Discernimento: potremmo quasi dire che è una parola “di moda”. Eppure il suo significato non è sempre chiaro. In sintesi come possiamo spiegare che cos’è il discernimento?
È vero: Papa Francesco ne parla da dieci anni, fin dall’esortazione apostolica Evangelii gaudium, ma il discernimento resta un oggetto “misterioso”, che suscita anche dubbi e paure. Anche per questo il Santo Padre ha voluto dedicarvi le catechesi del mercoledì del passato autunno e inverno. In sintesi, discernimento vuol dire vagliare le alternative per individuare la migliore e decidere di metterla in atto. Ma più in profondità, discernimento indica quell’atteggiamento interiore di ogni credente, che si chiede che cosa fare per compiere la volontà di Dio. È la domanda fondamentale dei discepoli del Signore, che riempie la vita di tanti santi e li spinge a compiere imprese impensate ed eroiche. In questo senso, possiamo dire che il discernimento è un atto di fede. Per discernere bisogna credere in un Dio la cui volontà per i suoi figli è la pienezza della gioia, come insegna il Vangelo di Giovanni. Poi bisogna credere che nella vita è possibile essere felici: quanti sono quelli che non ci credono e rinunciano a cercare la felicità! Infine, bisogna credere che ogni persona ha la capacità di scoprire la volontà di Dio, accoglierla e metterla in atto: magari le costerà fatica, o avrà bisogno di accompagnamento, ma ce la può fare. Così, nel discernimento è in gioco il senso profondo della nostra vita. Per questo è riduttivo pensare che si tratti di una tecnica per risolvere problemi o gestire processi decisionali, di un percorso di accettazione di sé o di pacificazione interiore: obbliga infatti la persona a confrontarsi con se stessa, con la realtà e con Dio, e poi — ma soprattutto! — a mettersi in movimento per dare attuazione pratica alle decisioni prese.
Quindi discernimento non è neanche il nome di un percorso di autoconsapevolezza?
L’autocoscienza ha una grande importanza: quanto più una persona ha consapevolezza della proprie qualità dei propri doni, ma anche dei propri limiti, tanto più il suo discernimento risulterà efficace. Lo stesso vale per la consapevolezza delle dinamiche della realtà in cui si tradurranno in atto le decisioni prese. Ma non possiamo dimenticare che il discernimento è un atto della coscienza, nel senso profondo e bellissimo che a questo termine dà la Gaudium et spes: quel luogo intimo in cui la persona è sola con Dio e sente risuonare la Sua voce.
Il discernimento non lo si fa mai da soli, ma sempre in dialogo con Dio, in ascolto della sua Parola e della voce dello Spirito Santo, all’interno di una comunità e di una tradizione che sostengono e accompagnano la persona in questo cammino. Ma forse è proprio questa la forma più radicale di autocoscienza, che conduce la persona a scoprire che l’identità si gioca sempre nelle relazioni, in particolare in quelle più fondamentali, a partire da quella con Dio. La posta in gioco è davvero alta: quali sono i rischi o gli equivoci che minacciano la pratica del discernimento?
Minaccia il discernimento tutto ciò che allontana la persona dalla propria coscienza, nel senso sopra ricordato: quindi l’autoreferenzialità, una ricerca superficiale di emozioni che ostacola il movimento verso l’interiorità, la dipendenza da altri (un guru, una moda, un’ideologia…) o una osservanza estrinseca delle norme senza un reale ascolto della vita. Ugualmente minaccia il discernimento l’immagine di un Dio padronale o invidioso, che non vuole la felicità dei suoi figli: è l’idea che il serpente ha insinuato a Eva nel giardino, e che prova a insinuare a noi oggi. Poi non possiamo dimenticare la mancanza di libertà interiore, che trasforma il discernimento da ricerca della volontà di Dio a tentativo di giustificare scelte prese a prescindere da Lui. E poi c’è un rischio molto diffuso: quello del discernimento “monco”, che identifica la direzione in cui andare, ma non muove mai il primo passo, rimanendo così una teoria.
Ha parlato di libertà interiore. Ma la psicanalisi nel secolo scorso, come oggi le neuroscienze, sembrano restringere lo spazio del libero arbitrio. Che senso ha il discernimento se i nostri comportamenti sono l’esito di condizionamenti di ogni genere?
Parlare di libertà non significa misconoscere i condizionamenti. Anzi, scoprirli è parte del lavoro fondamentale dell’autoconsapevolezza e la migliore conoscenza del funzionamento del cervello che il progresso delle scienze produce è un contributo insostituibile. Tuttavia le evidenze empiriche non esauriscono il discorso. Occorre piuttosto mettere in dialogo diversi saperi: nessuno può imporre agli altri il proprio punto di vista. Possiamo tranquillamente riconoscere di essere sottoposti a molti condizionamenti, ma questo non elimina lo spazio del discernimento, anzi lo rende ancora più necessario, proprio perché gli impulsi interiori sono tanti, e ci spingono in direzioni diverse. Il discernimento consiste nel diventare consapevoli di queste voci, che spesso ci “agiscono” senza che neanche ce ne accorgiamo. Per questo il Papa dice che si tratta di «togliere il pilota automatico». Il primo passo verso la libertà è divenire consapevoli delle immagini e delle spinte interiori che troviamo in noi, per assecondare quelle costruttive, indirizzate verso la pienezza della gioia promessa da Dio, e respingere quelle distruttive.
Gli apparati digitali, entrati prepotentemente nella vita di tutti, si configurano come “protesi” esterne alle nostre facoltà intellettive. Senza arrivare all’ intelligenza artificiale è opportuna una riflessione sulla relazione tra trasformazioni antropologiche e capacità di discernimento. Per esempio, la nostra memoria oggi risiede in buona parte nei nostri telefonini e non più nel cervello. Come si può discernere senza memoria?
Evidentemente non si può, come in fondo non si può nemmeno vivere. Ma dobbiamo fare attenzione a non alimentare giudizi affrettati e allarmistici sull’innovazione tecnologica a cui oggi assistiamo, che è davvero impressionante. Innanzi tutto, non mi sembra che le capacità umane vengano sostituite dalle macchine, piuttosto cambiano le condizioni in vengono esercitate.
E poi dobbiamo fare attenzione all’uso delle parole: un disco rigido o una cloud sono “magazzini di dati”, ma non soppiantano la memoria in senso antropologico. Il lavoro della memoria, infatti, è rielaborare continuamente l’esperienza, scoprendo le connessioni tra i dati e svelandone il senso. Il ricordo di una bella giornata non si riduce ai dati meteo salvati in un computer o al cielo azzurro nelle foto sul telefonino. Senza connessioni, anche affettive, queste informazioni hanno poco significato. Ma l’innovazione tecnologica ha anche un altro impatto: aumenta, spesso a dismisura il numero delle opzioni tra cui scegliere. Possiamo dire che oggi scegliamo molto più che in passato. E la velocità del cambiamento è tale che non possiamo semplicemente attenerci all’esempio delle generazioni precedenti, perché viviamo in un mondo troppo diverso, di cui non abbiamo una mappa. Per muoverci ci serve una bussola, che è proprio il discernimento.
Se il discernimento è così importante per procedere in un modo sempre più complesso non stupisce che su di esso insista Papa Francesco, che ci invita a pensare il mondo come poliedro anziché come sfera. Che cosa comporta questo passaggio per la Chiesa e il suo rapporto con il mondo?
Il passaggio è per certi versi semplice, ma non per questo facile. Pensare il mondo come un poliedro significa accettare che ciò che di esso vediamo dipende dal punto da cui lo osserviamo: da una prospettiva apparirà concavo, da un’altra convesso. Questo significa che ogni punto di vista, compreso quello della Chiesa, deve rinunciare alla pretesa di essere totale e accettare la propria parzialità. Significa anche che ricostruire una immagine completa della realtà richiede il dialogo fra le diverse prospettive, ciascuna delle quali, a partire da quella dei poveri, è portatrice di un contributo insostituibile. Per certi versi, possiamo dire che dialogo è il nome del discernimento quando entra nello spazio pubblico e affronta le dinamiche sociali: comprenderle e quindi capire come intervenire su di esse oggi non è possibile senza convocare la pluralità delle diverse prospettive. In fondo è questa anche la “scommessa” del Sinodo, che ripropone la domanda sulla volontà di Dio: quali passi lo Spirito ci chiede di compiere per poter camminare insieme agli uomini e alle donne del nostro tempo e annunciare loro il Vangelo nel mondo di oggi? Trovare la risposta non può che essere un’azione sinodale, che si mette in ascolto di tutti i punti di vista e articola le differenze, senza arrendersi alla frammentazione né all’omogeneizzazione.
Ma per discernere bisogna essere credenti? In un mondo in cui non tutti lo sono, ma bisogna imparare a camminare insieme, la domanda appare cruciale.
Non possiamo in alcun modo sminuire le peculiarità del discernimento in senso pienamente cristiano, non fosse altro perché può alimentarsi attraverso meditazione della Parola di Dio e la vita sacramentale. Tuttavia non possiamo nemmeno dimenticare che la coscienza non è un monopolio dei credenti, e men che meno dei cristiani. Dio parla nell’intimo a tutti e a tutti formula una promessa di vita a cui affidarsi, a prescindere da una esplicita professione di fede religiosa. Come questa fiducia di base possa costituire il terreno per un discernimento condiviso è quello che oggi siamo chiamati a scoprire camminando insieme.

Papa Francesco 23 07 2023 messaggio ai nonni e agli anziani

«Di generazione in generazione la sua misericordia» (Lc 1,50)

Cari fratelli e sorelle! «Di generazione in generazione la sua misericordia» (Lc 1,50): è questo il tema della III Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani. È un tema che ci riporta a un incontro benedetto: quello tra la giovane Maria e la sua anziana parente Elisabetta (cfr Lc 1,39-56). Questa, ricolma di Spirito Santo, rivolge alla Madre di Dio delle parole che, a distanza di millenni, ritmano la nostra preghiera quotidiana: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo» (v. 42). E lo Spirito Santo, già disceso su Maria, le suggerisce di rispondere con il Magnificat, nel quale proclama che la misericordia del Signore si estende di generazione in generazione. Lo Spirito Santo benedice e accompagna ogni fecondo incontro tra generazioni diverse, tra nonni e nipoti, tra giovani e anziani. Dio, infatti, desidera che, come ha fatto Maria con Elisabetta, i giovani rallegrino i cuori degli anziani, e che attingano sapienza dai loro vissuti. Ma, anzitutto, il Signore desidera che non lasciamo soli gli anziani, che non li releghiamo ai margini della vita, come purtroppo oggi troppo spesso accade. È bella, quest’anno, la vicinanza tra la celebrazione della Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani e quella della Gioventù; entrambe hanno come tema la “fretta” di Maria (cfr v. 39) nel visitare Elisabetta, e ci portano così a riflettere sul legame tra giovani e anziani. Il Signore spera che i giovani, incontrandoli, accolgano la chiamata a custodire la memoria e riconoscano, grazie a loro, il dono di appartenere a una storia più grande. L’amicizia di una persona anziana aiuta il giovane a non appiattire la vita sul presente e a ricordarsi che non tutto dipende dalle sue capacità. Per i più anziani, invece, la presenza di un giovane apre alla speranza che quanto hanno vissuto non vada perduto e che i loro sogni si realizzino. Insomma, la visita di Maria ad Elisabetta e la consapevolezza che la misericordia del Signore si trasmette da una generazione all’altra rivelano che non possiamo andare avanti – e neppure salvarci – da soli e che l’intervento di Dio si manifesta sempre nell’insieme, nella storia di un popolo. È Maria stessa a dirlo nel Magnificat, esultando in Dio che ha operato meraviglie nuove e sorprendenti, fedele alla promessa fatta ad Abramo (cfr vv. 51-55). Per meglio accogliere lo stile dell’agire di Dio, ricordiamo che il tempo va abitato nella sua pienezza, perché le realtà più grandi e i sogni più belli non si realizzano in un attimo, ma attraverso una crescita e una maturazione: in cammino, in dialogo, in relazione. Perciò chi si concentra solo sull’immediato, sui propri vantaggi da conseguire rapidamente e avidamente, sul “tutto e subito”, perde di vista l’agire di Dio. Il suo progetto di amore attraversa invece il passato, il presente e il futuro, abbraccia e mette in collegamento le generazioni. È un progetto che va oltre noi stessi, ma nel quale ciascuno di noi è importante, e soprattutto è chiamato ad andare oltre. Per i più giovani si tratta di andare al di là dell’immediato nel quale ci confina la realtà virtuale, la quale spesso distoglie dall’azione concreta; per i più anziani si tratta di non soffermarsi sulle forze che s’indeboliscono e di non rammaricarsi per le occasioni perse. Guardiamo avanti! Lasciamoci plasmare dalla grazia di Dio che, di generazione in generazione, ci libera dall’immobilismo nell’agire e dai rimpianti del passato! Nell’incontro tra Maria ed Elisabetta, tra giovani e anziani, Dio ci dona il suo futuro. Il cammino di Maria e l’accoglienza di Elisabetta aprono infatti le porte al manifestarsi della salvezza: attraverso il loro abbraccio la sua misericordia irrompe con gioiosa mitezza nella storia umana. Vorrei allora invitare ciascuno a pensare a quell’incontro, di più, a chiudere gli occhi e a immaginare, come in un’istantanea, quell’abbraccio tra la giovane Madre di Dio e l’anziana madre di San Giovanni Battista; a rappresentarlo nella mente e a visualizzarlo nel cuore, per fissarlo nell’anima come una luminosa icona interiore. E invito poi a passare dall’immaginazione alla concretezza nel fare qualcosa per abbracciare i nonni e gli anziani. Non lasciamoli soli, la loro presenza nelle famiglie e nelle comunità è preziosa, ci dona la consapevolezza di condividere la medesima eredità e di far parte di un popolo in cui si custodiscono le radici. Sì, sono gli anziani a trasmetterci l’appartenenza al Popolo santo di Dio. La Chiesa, così come la società, ha bisogno di loro. Essi consegnano al presente un passato necessario per costruire il futuro. Onoriamoli, non priviamoci della loro compagnia e non priviamoli della nostra, non permettiamo che siano scartati! La Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani vuol essere un piccolo segno delicato di speranza per loro e per la Chiesa intera. Rinnovo perciò il mio invito a tutti – diocesi, parrocchie, associazioni, comunità – a celebrarla, mettendo al centro la gioia traboccante di un rinnovato incontro tra giovani e anziani. A voi giovani, che vi state preparando a partire per Lisbona o che vivrete la Giornata Mondiale della Gioventù nei vostri luoghi, vorrei dire: prima di mettervi in viaggio andate a trovare i vostri nonni, fate una visita a un anziano solo! La sua preghiera vi proteggerà e porterete nel cuore la benedizione di quell’incontro. A voi anziani chiedo di accompagnare con la preghiera i giovani che stanno per celebrare la GMG. Quei ragazzi sono la risposta di Dio alle vostre richieste, il frutto di quel che avete seminato, il segno che Dio non abbandona il suo popolo, ma sempre lo ringiovanisce con la fantasia dello Spirito Santo. Cari nonni, cari fratelli e sorelle anziani, che la benedizione dell’abbraccio tra Maria ed Elisabetta vi raggiunga e colmi di pace i vostri cuori. Vi benedico con affetto. E voi, per favore, pregate per me.