Avviso:

Domenica 9/03 (I^ di Quaresima) ci sarà un’unica celebrazione alle ore 10.00 con inizio sul sagrato del Santuario della Famiglia, con una breve processione fino alla chiesa parrocchiale, per introdurci al Giubileo e al tempo di Quaresima.

La S. Messa delle ore 8.30 è sospesa.

Sulla Speranza

Nella notte della storia la preghiera apre alla speranza.

Il terzo millennio si è aperto sotto il segno della minaccia, la paura è diventata compagna oscura della contemporaneità – paura delle guerre e del nucleare, del degrado ecologico, della manipolazione genetica, del trovarsi disoccupati, della precarietà dell’esistere – e si ha l’impressione che la speranza sia venuta meno nell’orizzonte della nostra cultura. Oggi la situazione è peggiorata. Sta sotto gli occhi di tutti noi la situazione che viviamo: cambiamenti climatici delle stagioni, drammatiche situazioni di possibile guerra nucleare. Da qui l’incremento generalizzato della produzione e della vendita delle armi, di quelle nucleari in particolare, che riempiono gli arsenali dei singoli Stati mette in gioco il destino del mondo e dell’intera umanità. A questo si deve aggiungere l’indifferenza da parte di molti, che si esprime anche nei pochi che vanno a votare, e la violenza sempre più presente nelle famiglie e tra i ragazzi. Anche la Chiesa vive le sue difficoltà: sia a causa degli scandali e degli abusi di vario genere che si perpetuano al suo interno, sia perché avverte che è finito il tempo della cristianità: siamo ormai diventati piccole comunità e in esse spesso sono assenti i giovani.

È possibile sperare?

Per cui, oggi, ci si chiede non solo cosa sperare, ma, in modo più radicale: è possibile sperare? Questo navigare al buio e senza speranza, determinato da varie circostanze, che a volte sfocia in forme di violenza, di indifferenza verso l’altro o di rassegnazione, di per sé non si addice all’uomo, perché egli, credente o non credente, non solo avverte il bisogno di speranza, ma è speranza. Egli sente il bisogno di oltrepassare lo scacco dell’esistenza, seppure confusamente, avverte come un risucchio in avanti, una gravitazione sul futuro, verso una pienezza di senso. Giovanni Crisostomo evidenziava: «Ciò che ci porta alla sventura non sono tanto i nostri peccati quanto la disperazione». Pensiamo, allora, che è urgente riflettere e coltivarsi come uomini di speranza perché essa ci educa a non trascorrere i nostri giorni da rassegnati e a non concedere mai, rabbiosamente, spazio alla distruzione. Il nostro, comunque, è un tempo in cui si pone con palpabile drammaticità la domanda: che cosa posso sperare? E da questo interrogativo non è esente il cristiano. La speranza cristiana, infatti, è bene chiarirlo, in un’epoca in cui molti disperano, non vuole semplicemente consolare o favorire facili ottimismi, ma vuole ricordare che la promessa biblica non ha certo risparmiato ai suoi testimoni la lunga attesa nella notte. Il cammino di fede è segnato da un processo che nella Bibbia è chiamato deserto, e che dai mistici sarà chiamato notte. Consapevole che il cammino con Dio avviene tra luce e buio, il salmista prega: «Svegliati, perché dormi, Signore? Destati, non ci respingere per sempre. Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione?» (Sal 44,24-25). Questa è l’esperienza che facciamo un po’ tutti: passiamo da momenti belli, luminosi in cui riteniamo di sapere chi è Dio per noi e poi, invece, facciamo esperienza dell’aridità, del vuoto, della perdita di orientamento, del silenzio di Dio e di non sapere nemmeno se crediamo!

La notte avvolge il vissuto.

All’origine della tenebra o della nausea interiore si trova ordinariamente un fatto doloroso, un conflitto di relazione, una disgrazia: eventi che sconvolgono l’esistenza e la fede di una persona. Sono svariate le circostanze difficili che mettono in crisi la nostra fede. Ma c’è da dire che, forse, sono anche rivelazione del costitutivo fondamentale della fede cristiana. Essa non è rimozione del negativo della vita e della storia, ma possibilità di attraversarlo e di confrontarsi con esso, avendo Qualcuno a cui rivolgersi, a cui gridare e con cui vivere. Il cammino di fede diventa ancora più paradossale e drammatico quando questo Qualcuno a cui ci si rivolge fa silenzio o sembra ostile. Allora la domanda “perché?” si fa straziante e insistente. È bella, al riguardo, l’intuizione/risposta di S. Weil: «Egli (Dio) è colui, che, mediante l’opera della notte oscura, si ritira per non essere amato come un tesoro da un avaro». «È Dio che per amore si ritira da noi perché sia possibile amarlo», in pura gratuità. Il tema della notte, quindi, è presente nella tradizione spirituale ed è vista come un processo dinamico attraverso il quale l’uomo viene strappato dalle sue sicurezze, da una vita centrata sul proprio io, per radicarsi in una vita centrata in Dio e quindi animata dalla sua Parola. Dal racconto biblico emerge con chiarezza che la speranza è dono connesso alla fede e all’ascolto della parola di Dio insperata e gratuita: «Non temere, perché io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo Dio» (Is 41,10), dice il Signore al suo popolo, attraverso il profeta. Essa, quindi, non si fonda sulle proprie capacità di mutare le cose, ma sulla fede in Dio motivata dall’amore.

La speranza ha la sua voce: la preghiera.

Se la speranza è dono di Dio, dono offerto a noi nel Figlio, per Paolo, Cristo stesso è la nostra speranza (1Tm 1,1), l’unica cosa da fare è cercare Dio e vivere insieme a lui. Dallo stare con lui scaturisce la speranza che va oltre ogni disperazione. Uno degli spazi determinanti per cercare Dio e sperare in Lui è la preghiera. Nell’enciclica Spe Salvi, Benedetto XVI indica dei luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza e, tra essi, propone la preghiera. Egli scrive nel paragrafo 2: «Un primo essenziale luogo di apprendimento della speranza è la preghiera. Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare. Se non c’è più nessuno che possa aiutarmi – dove si tratta di una necessità o di un’attesa che supera l’umana capacità di sperare – Egli può aiutarmi. Se sono relegato in estrema solitudine…; ma l’orante non è mai totalmente solo. Da tredici anni di prigionia, di cui nove in isolamento, l’indimenticabile Cardinale Nguyen Van Thuan ci ha lasciato un prezioso libretto: Preghiere di speranza. Durante tredici anni di carcere, in una situazione di disperazione apparentemente totale, l’ascolto di Dio, il poter parlargli, divenne per lui una crescente forza di speranza, che dopo il suo rilascio gli consentì di diventare per gli uomini in tutto il mondo un testimone della speranza – di quella grande speranza che anche nelle notti della solitudine non tramonta».

Parte 1 di 2 continua…

Centro di ascolto alla vita

Il Centro di Ascolto alla Vita è un’associazione di volontariato fondata nel 1987 con l’obiettivo di promuovere una cultura di accoglienza alla vita e offrire un sostegno concreto alle donne che affrontano una maternità non desiderata o difficile. Ci piace descrivere il nostro servizio come un abbraccio: un supporto tangibile e reale, capace di spezzare la solitudine e rendere possibile la vera libertà, quella che porta al sì alla vita. Un abbraccio significa comunicare e condividere, sia nella gioia che nel dolore. Siamo profondamente grate, perché abbiamo ricevuto moltissimo dalle donne che abbiamo incontrato: dalle loro storie, dalla generosa condivisione delle loro vite. Ogni colloquio, ogni momento trascorso insieme è stato un dono prezioso, ha reso la nostra vita più ricca e piena Riconosciamo che non sono mancate le fatiche, abbiamo condiviso paure e speranze, accompagnando le mamme lungo un cammino che oggi le vede felici, con i loro bambini tra le braccia. Non smetteremo mai di farci sorprendere dalla Vita!

Calendario pastorale

Domenica 2 ore 15.00 Catechesi Iniziazione Cristiana.
ore 15.15 Incontro formativo per adulti (chiesa parrocchiale).

Martedì 4 ore 21.00 Scuola della parola decanale per 18/19 enni e giovani (oratorio di Sedriano).

Mercoledì 5 ore 14.45 Incontro formativo per adulti + in oratorio.

Giovedì 6 ore 21.00 Incontro nel ciclo “Pillole di riflessione” a cura dell’area omogenea: La vita si fa cultura, sofferenza e cura. Interviene Alessandro Pirola, presidente della Fondazione As.Fra. e Maddalena Grassi. Il relatore condividerà testimonianze di persone colpite da patologie che interrogano il senso del dolore e della malattia, quando l’apparenza sembra negare una speranza e un destino buono – Oratorio di Boffalora, sala Portaluppi, v. privata Palo VI.

Domenica 9 ore 15.00 Catechesi gruppo comunione 1.

Domenica 16 ore 15.00 catechesi Iniziazione Cristiana.
ore 15.00 Prima confessione gruppo comunione 3 (chiesa parrocchiale).

Comunicazioni
Ricavato della visita natalizia alle famiglie e alle ditte: 8414, 50 €.
■ La Sala della comunità ha terminato gli adeguamenti per l’antincendio e quindi può riprendere le attività. La sostituzione del tetto è ultimata e si sta procedendo alla sistemazione del perimetro esterno.

Debito dei paesi poveri. Questione di giustizia

Venticinque anni dopo la campagna del Duemila, Papa Francesco rilancia l’appello del Giubileo a condonare i prestiti a chi non può restituirli. La denuncia dell’Onu: «Il Sud del mondo ha pagato il conto più salato delle crisi – di Giorgio Bernardelli

(…) Nell’appello alla speranza che Papa Francesco lancia al mondo con l’Anno Santo del 2025 appena iniziato, queste parole della bolla di indizione Spe non confundit tornano a porre con forza il tema del debito pubblico dei Paesi più poveri. (….) Perché ora Francesco sente il bisogno di rilanciare questo tema? Perché – soprattutto negli ultimi anni, per effetto della crisi globale innescata dalla pandemia e aggravata dalle ripercussioni del conflitto in Ucraina – in tanti Paesi dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia la questione del debito pubblico è riesplosa in maniera molto dura. (…). Qualcuno potrebbe domandarsi: ma se sono Paesi poveri perché si indebitano? Ogni economia per finanziare i propri investimenti si fonda sul credito. Non a caso il Paese con la quota più alta di debito pubblico sono gli Stati Uniti, cioè la prima economia al mondo, seguiti (ma a molta distanza) dalla Cina. Tanto per dare le proporzioni: secondo alcuni dati rielaborati dall’Unctad – l’agenzia dell’Onu per il commercio e lo sviluppo – a fine 2023 il debito pubblico ha raggiunto a livello globale la cifra (record) di circa 97 mila miliardi di dollari. Di questi, però, oltre 33 mila miliardi di dollari sono debito Usa. L’intero debito pubblico italiano supera i 3 mila miliardi di dollari. Quello di tutti i Paesi dell’Africa considerati nel loro insieme supera di poco i 2 mila miliardi di dollari. Ma se in termini assoluti è relativamente piccolo, allora, perché il debito nei Paesi più poveri crea tanti problemi? Perché le condizioni per con-trarlo non sono uguali per tutti. Proprio come accade a chi chiede un prestito in banca, anche i Paesi non sono trattati allo stesso modo dagli altri Stati, dagli organismi multilaterali (come il Fondo monetario internazionale, Fmi) o dai privati, i tre grandi soggetti che erogano crediti. Più un’economia è fragile e più i tassi di interesse da ripagare si alzano. A uno Stato africano la stessa cifra chiesta in prestito costa oggi 10 o 12 volte di più rispetto a quanto pagano la Germania o gli Stati Uniti. E proprio su questo divario la situazione negli ultimi anni si sta facendo sempre più insostenibile: i Paesi africani, per gli interessi sul loro debito, pagano attualmente 163 miliardi di dollari l’anno, contro i 61 che paga-vano nel 2010. Si tratta di una zavorra sulle possibilità di sviluppo. Lo spiega bene proprio l’Unctad in un interessante rapporto intitolato “Un mondo di debito”, pubblicato alcuni mesi fa. Analizzando le vicende degli ultimi anni, emerge con chiarezza che il conto delle ripetute crisi che dalla pandemia in poi tutti abbiamo vissuto è stato pagato in maniera molto più salata dai Paesi poveri.
«Quella del debito è una crisi nascosta – spiega Giovanni Valensisi, economista italiano dell’Unctad che è tra i curatori del rapporto -. Nel quadro complessivo le cifre che coinvolgono i Paesi in via di sviluppo sembrerebbero piccole. Ma se si guarda a che cosa pro-vocano nelle loro società, l’impatto è enorme». Oltre 3,3 miliardi di persone in Africa, America Latina e in Asia, per esempio, oggi vivono in Paesi che sono costretti a spendere più soldi per ripagare gli interessi sui debiti da loro contratti che per finanziare la sanità o l’istruzione. Nella metà dei Paesi in via di sviluppo, oltre il 6,3% di tutte le entrate generate dalle esportazioni sono destinate a ripagare i creditori. Una “tassa” iniqua sui Paesi poveri: l’Unctad ricorda che quando nel 1953 fu stipulato l’Accordo di Londra sul debito di guerra della Germania si stabilì che gli interessi pagati dai tedeschi non dovessero eccedere il 5% delle entrate generate dalle esportazioni, per non minarne la ripresa. Oggi però, per decine di Paesi del Sud del mondo, questo principio elementare di un’economia attenta al futuro non viene fatto valere. Ma durante la pandemia non erano stati previsti aiuti sul debito per i Paesi poveri? «Nel 2020 – risponde Valensisi – i paesi del G20 avevano congelato per due anni alle nazioni in via di sviluppo il pagamento degli interessi sul loro debito. Quella pausa, però, è finita proprio quando con la guerra in Ucraina la situazione si era fatta addirittura peggiore, perché le politiche monetarie adottate dagli stessi Paesi economicamente più forti per contenere l’inflazione avevano fatto schizzare alle stelle tutti i tassi di interesse». A quel punto non sono arrivati nuovi interventi. E in un contesto in cui il 61% del debito dei Paesi in via di sviluppo, ormai, non è più prestato da Stati o creditori multilaterali, ma da privati (banche o investitori che acquistano particolari strumenti finanziari), c’è stato addirittura un effetto contrario: «Il problema è la volatilità di queste fonti di finanziamento – commenta l’economista dell’Unctad -. Appena nei Paesi più sviluppati i rendimenti dei titoli pubblici sono saliti, le scelte dei risparmiatori sono cambiate, abban-donando gli altri mercati. Così nel 2022 – proprio nel momento in cui avrebbero avuto più bisogno di risorse- i Paesi economicamente più fragili si sono ritrovati a dover versare in interessi a banche e investitori privati più soldi di quelli che ricevevano in nuovi prestiti». C’è l’osservazione di questi meccanismi perversi, dunque, dietro l’appello di Papa Francesco a riportare sotto i riflettori il tema del debito in occasione di questo Giubileo. Con la consapevolezza, però, che oggi condonarne quote importanti è un’operazione più complessa rispetto a 25 anni fa. Perché il più ampio coinvolgimento di investitori privati moltiplica gli interlocutori con i quali occorrerà negoziare questo atto di giustizia. È il motivo per cui il Pontefice ha esortato anche a compiere un passo in più: immaginare «una nuova architettura finanziaria internazionale, che sia audace e creativa». Per far sì che il peso delle crisi di domani non finisca di nuovo per scaricarsi sulle spalle dei poveri. Sul tavolo alcune idee esistono: «Un primo passo – spiega Valensisi – sarebbe affrontare il tema della rappresentatività: coinvolgere davvero e in maniera significativa i Paesi in via di sviluppo ai tavoli in cui vengono prese le decisioni. Ma si ragiona anche su meccanismi per affrontare il problema dei costi eccessivi del debito: un’ipotesi è potenziare le Banche multilaterali e regionali di sviluppo, sia in termini di capitalizzazione e di conseguente capacità di prestito, sia facendo in modo che siano loro ad ammortizzare parte dei rischi, emettendo una quota dei prestiti in valute locali. Soprattutto, però, occorre far crescere una sensibilità finanziaria nell’erogare crediti che privilegino nei Paesi poveri progetti che creano sviluppo a lungo termine». Esempi di un percorso possibile. Perché – come nell’idea biblica del Giubileo – si possa ripartire davvero tutti insieme.