I beni relazionali

Non sono quantificabili, eppure generano un immenso valore; non sono finanziabili, eppure hanno ricadute benefiche su tutti gli interessati. Sono i beni relazionali e capire cosa sono è il primo passo per aumentare la qualità del nostro stare insieme.

Una definizione di beni relazionali.
L’insieme dei valori condivisi, delle azioni concertate, l’impegno profuso per la costruzione di percorsi formativi, di attività comuni di stampo educativo, ma anche le operazioni amministrative, archivistiche, la gestione di spazi e tempi comuni, i pasti, gli spostamenti, tutto quello che risulta condiviso e compartecipato, senza finalità di lucro o di profitto nell’associazionismo e nel volontariato rientra nella categoria sociologica dei beni relazionali. È la sociologia a prendere la parola su questo capitale umano gratuito, generoso e generativo che altre scienze umane hanno già variamente definito, rivendicando il diritto a studiare queste forme di aggregazioni secondo le proprie specificità disciplinari. La psicologia, infatti, intende con bene relazionale essenzialmente l’empatia, la condivisione, l’ascolto, la cooperazione, la creazione di relazioni amicali; approcci di tipo economico, invece, accentuano le ricadute pratiche e valutano l’utilità che da tali attività scaturisce; la sociologia, invece, può trattare il tema prescindendo da tagli etici o utilitaristici, riflettendo sull’accezione sociologica del concetto di bene. Bene inteso come una “realtà che soddisfa dei bisogni propriamente umani” e lo fa attraverso la creazione di entità immateriali, costituite dalla rete di relazioni tessute da soggetti, agenti e attori che consapevolmente sono orientati a produrre e fruire di un bene che non potrebbero ottenere altrimenti. La qualità delle nostre reti relazionali è un bene in sé, ma anche per gli effetti che produce; e la sociologia ci aiuta a riflettere integrando approcci solo psicologistici o pedagogici o filosofici. Gli autori annoverano tra i beni relazionali l’amicizia, la famiglia, la cooperativa sociale, l’associazionismo civile o il volontariato, ma solo quando sono in grado di agire secondo le loro finalità cooperative e unitive, perché se disfunzionali rappresentano un male relazionale.

Un bene senza prezzo.
Le reti di associazioni generano beni che non hanno prezzo, ma hanno un valore inestimabile: non si possono comprare, non si possono vendere, eppure generano utili non monetizzabili, costosi da produrre secondo un criterio meramente economico; inoltre contribuiscono alla buona tenuta del tessuto sociale attraverso la capacità di agire nei territori e con i territori, secondo un’ottica di governance e non di government.
Lo stile di gestione fondato sulla partecipazione, sulla valorizzazione dei talenti e delle risorse personali, la condivisione democratica delle decisioni, la non discriminazione dei membri interni su base classista o sessista o razzista sono la premessa per ottenere effetti dalla ricaduta benefica a lungo termine anche sui soggetti esterni. In poche parole, un’associazione, un gruppo di volontariato, una società sportiva o culturale migliorano la qualità del vivere dei contesti in cui sorgono, non avendo come obiettivo il ritorno economico o il profitto monetizzato. Ma la sociologia è ancora più precisa: “Il bene che comportano è un effetto emergente, il quale ridonda a beneficio dei partecipanti senza che nessuno di essi possa appropriarsene da solo”. Ed è questo il valore aggiunto: mai senza l’altro, mai da soli, da monadi, ma in uno spirito di condivisione, in un clima di mutuo scambio che, forse, si potrebbe chiamare fraternità, il terzo termine dimenticato del motto della rivoluzione francese. In più, oltre ai risultati raggiunti, si apprezza anche la soddisfazione, il benessere psicologico derivato che garantisce obiettivi conseguiti con maggiore efficacia e costi minori. Per questo l’economia se ne interessa: perché i beni relazionali non sono numerabili, non sono quantificabili, non usano moneta, ma fruttano e producono. In una prospettiva antropologica è dimostrato che i beni relazionali civilizzano il mercato assai più di tutte le normative specifiche perché contribuiscono ad aumentare il tasso di humanitas. Non si possono generare beni relazionali per forza di legge, né finanziarli con appositi capitali per fondarli perché sono gratuiti, volontari e liberi, coniugano la libertà con la responsabilità, l’efficacia produttiva con la cura.

Le caratteristiche distintive dei beni relazionali.
Identità sociale e personale dei partecipanti: l’identità implica il reciproco riconoscimento, il rispetto, la pari dignità tra interlocutori e la condivisione di valori.
Motivazione non strumentale: il rapporto è caratterizzato da “premura”, cura attenzione all’altro.
Reciprocità, intesa non come do ut des, ma come scambio di tipo simbolico, come affidamento vicendevole.
Condivisione: il bene relazionale può essere fruito solo insieme e si produce solo attraverso la partecipazione, non può essere monopolizzato.
Elaborazione nel tempo: i beni relazionali si costruiscono e crescono nel tempo, inteso come attitudine alla cura prolungata, come assunzione di responsabilità per gli effetti e le ricadute
Riflessività: capacità di valutare le evoluzioni e orientare le trasformazioni relazionalmente. Avere consapevolezza del valore del nostro lavoro, che è essenzialmente uno stare insieme, un fare per il bene in chiave non individualistica e privatistica, fa la differenza: per mantenere sani i nostri rapporti, occorre riflettere sugli atteggiamenti e i comportamenti che aumentano o diminuiscono la qualità della nostra condivisione.

di Antonella Fucecchi, docente di Lettere, redattrice per molti anni di Cem mondialità, esperta di didattica interculturale

Calendario pastorale

Domenica 25 ore 15.00 catechesi I.C.
ore 15.15 Incontro presso la chiesa parrocchiale per i genitori del cammino dell’iniziazione cristiana.

Sabato 2 e domenica 3 Raccolta alimenti Caritas: tè, zucchero, marmellata, legumi in scatola (ceci, piselli, fagioli, fagiolini, lenticchie), latte UHT.

Comunicazioni:
√ Ogni sera dal 18 febbraio al 27 marzo, monsignor Delpini offrirà una breve riflessione su brani di una delle preghiere più antiche, nella formulazione del «Simbolo degli apostoli».
I video verranno trasmessi alle 20.32 di ogni sera su www.chiesadimilano.it e su youtube.com/chiesadimilano (dove resteranno naturalmente disponibili anche successivamente), su Telenova (canale 18 del digitale), su Radio Marconi e i social diocesani.

√ Ricavato vendita Primule per il CAV: 670 € parrocchia – 400 € Santuario della Famiglia.

Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima

Attraverso il deserto Dio ci guida alla libertà.

Cari fratelli e sorelle!
Quando il nostro Dio si rivela, comunica libertà: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,2). Così si apre il Decalogo dato a Mosè sul monte Sinai. Il popolo sa bene di quale esodo Dio parli: l’esperienza della schiavitù è ancora impressa nella sua carne. Riceve le dieci parole nel deserto come via di libertà. Noi li chiamiamo “comandamenti”, accentuando la forza d’amore con cui Dio educa il suo popolo. È infatti una chiamata vigorosa, quella alla libertà. Non si esaurisce in un singolo evento, perché matura in un cammino. Come Israele nel deserto ha ancora l’Egitto dentro di sé – infatti spesso rimpiange il passato e mormora contro il cielo e contro Mosè –, così anche oggi il popolo di Dio porta in sé dei legami oppressivi che deve scegliere di abbandonare. Ce ne accorgiamo quando ci manca la speranza e vaghiamo nella vita come in una landa desolata, senza una terra promessa verso cui tendere insieme. La Quaresima è il tempo di grazia in cui il deserto torna a essere – come annuncia il profeta Osea – il luogo del primo amore (cfr Os 2,16-17). Dio educa il suo popolo, perché esca dalle sue schiavitù e sperimenti il passaggio dalla morte alla vita. Come uno sposo ci attira nuovamente a sé e sussurra parole d’amore al nostro cuore. L’esodo dalla schiavitù alla libertà non è un cammino astratto. Affinché concreta sia anche la nostra Quaresima, il primo passo è voler vedere la realtà. Quando nel roveto ardente il Signore attirò Mosè e gli parlò, subito si rivelò come un Dio che vede e soprattutto ascolta: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele» (Es 3,7-8). Anche oggi il grido di tanti fratelli e sorelle oppressi arriva al cielo. Chiediamoci: arriva anche a noi? Ci scuote? Ci commuove? Molti fattori ci allontanano gli uni dagli altri, negando la fraternità che originariamente ci lega. Nel mio viaggio a Lampedusa, alla globalizzazione dell’indifferenza ho opposto due domande, che si fanno sempre più attuali: «Dove sei?» (Gen 3,9) e «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9). Il cammino quaresimale sarà concreto se, riascoltandole, confesseremo che ancora oggi siamo sotto il dominio del Faraone. È un dominio che ci rende esausti e insensibili. È un modello di crescita che ci divide e ci ruba il futuro. La terra, l’aria e l’acqua ne sono inquinate, ma anche le anime ne vengono contaminate. Infatti, sebbene col battesimo la nostra liberazione sia iniziata, rimane in noi una inspiegabile nostalgia della schiavitù. È come un’attrazione verso la sicurezza delle cose già viste, a discapito della libertà. Vorrei indicarvi, nel racconto dell’Esodo, un particolare di non poco conto: è Dio a vedere, a commuoversi e a liberare, non è Israele a chiederlo. Il Faraone, infatti, spegne anche i sogni, ruba il cielo, fa sembrare immodificabile un mondo in cui la dignità è calpestata e i legami autentici sono negati. Riesce, cioè, a legare a sé. Chiediamoci: desidero un mondo nuovo? Sono disposto a uscire dai compromessi col vecchio? La testimonianza di molti fratelli vescovi e di un gran numero di operatori di pace e di giustizia mi convince sempre più che a dover essere denunciato è un deficit di speranza. Si tratta di un impedimento a sognare, di un grido muto che giunge fino al cielo e commuove il cuore di Dio. Somiglia a quella nostalgia della schiavitù che paralizza Israele nel deserto, impedendogli di avanzare. L’esodo può interrompersi: non si spiegherebbe altrimenti come mai un’umanità giunta alla soglia della fraternità universale e a livelli di sviluppo scientifico, tecnico, culturale, giuridico in grado di garantire a tutti la dignità brancoli nel buio delle diseguaglianze e dei conflitti.
Dio non si è stancato di noi. Accogliamo la Quaresima come il tempo forte in cui la sua Parola ci viene nuovamente rivolta: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,2). È tempo di conversione, tempo di libertà. Gesù stesso, come ricordiamo ogni anno la prima domenica di Quaresima, è stato spinto dallo Spirito nel deserto per essere provato nella libertà. Per quaranta giorni Egli sarà davanti a noi e con noi: è il Figlio incarnato. A differenza del Faraone, Dio non vuole sudditi, ma figli. Il deserto è lo spazio in cui la nostra libertà può maturare in una personale decisione di non ricadere schiava. Nella Quaresima troviamo nuovi criteri di giudizio e una comunità con cui inoltrarci su una strada mai percorsa. Questo comporta una lotta: ce lo raccontano chiaramente il libro dell’Esodo e le tentazioni di Gesù nel deserto. Alla voce di Dio, che dice: «Tu sei il Figlio mio, l’amato» (Mc 1,11) e «Non avrai altri dèi di fronte a me» (Es 20,3), si oppongono infatti le menzogne del nemico. Più temibili del Faraone sono gli idoli: potremmo considerarli come la sua voce in noi. Potere tutto, essere riconosciuti da tutti, avere la meglio su tutti: ogni essere umano avverte la seduzione di questa menzogna dentro di sé. È una vecchia strada. Possiamo attaccarci così al denaro, a certi progetti, idee, obiettivi, alla nostra posizione, a una tradizione, persino ad alcune persone. Invece di muoverci, ci paralizzeranno. Invece di farci incontrare, ci contrapporranno. Esiste però una nuova umanità, il popolo dei piccoli e degli umili che non hanno ceduto al fascino della menzogna. Mentre gli idoli rendono muti, ciechi, sordi, immobili quelli che li servono (cfr Sal 114,4), i poveri di spirito sono subito aperti e pronti: una silenziosa forza di bene che cura e sostiene il mondo. È tempo di agire, e in Quaresima agire è anche fermarsi. Fermarsi in preghiera, per accogliere la Parola di Dio, e fermarsi come il Samaritano, in presenza del fratello ferito. L’amore di Dio e del prossimo è un unico amore. Non avere altri dèi è fermarsi alla presenza di Dio, presso la carne del prossimo. Per questo preghiera, elemosina e digiuno non sono tre esercizi indipendenti, ma un unico movimento di apertura, di svuotamento: fuori gli idoli che ci appesantiscono, via gli attaccamenti che ci imprigionano. Allora il cuore atrofizzato e isolato si risveglierà. Rallentare e sostare, dunque. La dimensione contemplativa della vita, che la Quaresima ci farà così ritrovare, mobiliterà nuove energie. Alla presenza di Dio diventiamo sorelle e fratelli, sentiamo gli altri con intensità nuova: invece di minacce e di nemici troviamo compagne e compagni di viaggio. È questo il sogno di Dio, la terra promessa verso cui tendiamo, quando usciamo dalla schiavitù. La forma sinodale della Chiesa, che in questi anni stiamo riscoprendo e coltivando, suggerisce che la Quaresima sia anche tempo di decisioni comunitarie, di piccole e grandi scelte controcorrente, capaci di modificare la quotidianità delle persone e la vita di un quartiere: le abitudini negli acquisti, la cura del creato, l’inclusione di chi non è visto o è disprezzato. Invito ogni comunità cristiana a fare questo: offrire ai propri fedeli momenti in cui ripensare gli stili di vita; darsi il tempo per verificare la propria presenza nel territorio e il contributo a renderlo migliore. Guai se la penitenza cristiana fosse come quella che rattristava Gesù. Egli dice anche a noi: «Non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano» (Mt 6,16). Si veda piuttosto la gioia sui volti, si senta il profumo della libertà, si sprigioni quell’amore che fa nuove tutte le cose, cominciando dalle più piccole e vicine. In ogni comunità cristiana questo può avvenire. Nella misura in cui questa Quaresima sarà di conversione, allora, l’umanità smarrita avvertirà un sussulto di creatività: il balenare di una nuova speranza. Vorrei dirvi, come ai giovani che ho incontrato a Lisbona la scorsa estate: «Cercate e rischiate, cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Ci vuole coraggio per pensare questo» (Discorso agli universitari, 3 agosto 2023). È il coraggio della conversione, dell’uscita dalla schiavitù. La fede e la carità tengono per mano questa bambina speranza. Le insegnano a camminare e, nello stesso tempo, lei le tira in avanti. [1]
Benedico tutti voi e il vostro cammino quaresimale.

Lavori nelle strutture parrocchiali

Già eseguiti nell’anno 2023:
– Verniciatura del soffitto del corridoio della chiesa, a seguito del cedimento intonaco
   poi ripristinato, e della dicitura lungo il perimetro della chiesa : 13.660 €.

– Rifacimento parte recinzione oratorio a seguito di un cedimento della medesima:  11.000 €.

– Impianto di riscaldamento della chiesa parrocchiale: 52.000 €.

Da eseguire (importi stimati):
– Rifacimento della rete fognaria per rottura della medesima e, di conseguenza, del
   piazzale negli appartamenti in V. P. Giovanni XIII, 4: 60.000 €.

– Adeguamento impianto anti-incendio Sala della Comunità (40.000 €) e in seguito
  rifacimento della copertura in eternit che risulta essere deteriorata (70.000 €):  110.000 €

Il dover far fronte a questi interventi pone la posa della pavimentazione della chiesa parrocchiale in una futura previsione.

Calendario pastorale

Martedì 6 ore 21.00 “L’arte del celebrare” – Incontro per i lettori e le corali dell’area omogenea presso l’oratorio di Marcallo. Relatore: Valli don Norberto, liturgista, professore presso il Seminario di Venegono, docente al Pontificio Istituto Liturgico di Roma, membro della congregazione del Rito Ambrosiano.

ore 21.00 catechesi 18/19 enni (Oratorio di Marcallo).

Domenica 11 ore 12.30 “Pranzo di carnevale con animazione” per i/le ragazzi/e in oratorio.
Iscrizioni presso la cartoleria Zoia entro martedì 6 febbraio.
ore 15.00 Catechesi gruppo comunione 1 presso l’oratorio.

Martedì 13 ore 21.00 catechesi giovani (Oratorio di Marcallo).

Domenica 18 ore 21.00 Confessioni di Quaresima per i 18/19 enni e giovani (Chiesa parrocchiale di Sedriano).