Il diaconato permanente

In occasione dell’ammissione al cammino in preparazione al diaconato permanente di Jacobo Martinez, venerdì 8 settembre presso il Duomo di Milano, pubblichiamo un breve articolo sulla figura del diacono permanente.

Cosa è il diaconato permanente? E un ministero dell’ordine in terzo grado della scala gerarchica nella struttura della chiesa:
1.Vescovi 2.Presbiteri 3.Diaconi
Due di questi gradi partecipano al ministero sacerdotale di cristo:
1.l’ordine episcopale: vescovi
2.l’ordine del presbiterato: sacerdoti
L’ordine del diaconato, secondo il catechismo della chiesa cattolica n. 1554, è destinato ad aiutare e a servire i vescovi e presbiteri. In sostanza il ministero diaconale si rivolge a tutti i ministeri della Chiesa, esclusi la presidenza della eucaristia e della riconciliazione, che sono riservati ai sacerdoti.

FONDAMENTO BIBLICO DEL DIACONATO PERMANENTE

In Atti 16,1-6 si dice: In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorge un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona riputazione, pieni di Spirito e di Saggezza, ai quali affideremo quest’incarico. Noi invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola. Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero: Stefano uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicarone, Timone, Parmenas, Nicola. Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato imposero loro le mani.”
Il diaconato nel basso e alto medioevo vide una sua scomparsa per il fatto che c’era un grande aumento di vocazioni sacerdotali, missionarie e religiose, che andavano a supplire anche i ministeri riservati nei primi tempi alle figure diaconali.
Il diaconato rimase solo come un passaggio alla preparazione al sacerdozio, da qui il termine “ transeunti” , cioè diaconi temporaneamente.

IL RIPRISTINO DEL DIACONATO PERMANENTE NELL C.V.II

Il Concilio Vaticano II ripristina il ministero del diaconato permanente ribadendo le sue funzioni e carismi come un dono prezioso e una sorgente al servizio della chiesa. La Lumen Gentium al numero 29 recita: “In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il servizio. Infatti sostenuti della grazia sacramentale, nella diaconia della liturgia, della predicazione, e della carità servono il popolo di Dio, in comunione con il vescovo e con il suo presbiterio. E ufficio del diacono:
1. Amministrare il battesimo.
2. Conservare e distribuire la eucaristia.
3. Assistere e benedire il matrimonio in nome della chiesa.
4. Portare il viatico ai moribondi.
5. Leggere la sacra scrittura ai fedeli.
6. Istruire ed esortare il popolo.
7. Presiedere il culto e la preghiera.
8. Amministrare i sacramentali.
9. Presiedere il rito funebre e alla sepoltura.
Ai diaconi, che sono chiamati agli uffici di carità e di assistenza, è utile ricordare il monito di San Policarpio: “ Essere misericordiosi, attivi, camminare secondo la verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti.“

Jacobo Martinez, 53 anni, originario de El Salvador, arrivato in Italia nel 2005 , sposato con Francesca con la quale abbiamo avuto due figli.

Messaggio di papa Francesco per la giornata mondiale di preghiera per la cura del creato

1° settembre 2023

“Che scorrano la giustizia e la pace” è quest’anno il tema del Tempo ecumenico del Creato, ispirato dalle parole del profeta Amos: «Come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne» (5,24). Questa espressiva immagine di Amos ci dice quello che Dio desidera. Dio vuole che regni la giustizia, che è essenziale per la nostra vita di figli a immagine di Dio come l’acqua lo è per la nostra sopravvivenza fisica. Questa giustizia deve emergere laddove è necessaria, non nascondersi troppo in profondità o svanire come acqua che evapora, prima di poterci sostenere. Dio vuole che ciascuno cerchi di essere giusto in ogni situazione, che si sforzi sempre di vivere secondo le sue leggi e di rendere quindi possibile alla vita di fiorire in pienezza. Quando cerchiamo prima di tutto il regno di Dio (cfr Mt 6,33), mantenendo una giusta relazione con Dio, l’umanità e la natura, allora la giustizia e la pace possono scorrere, come una corrente inesauribile di acqua pura, nutrendo l’umanità e tutte le creature. Nel luglio 2022, in una bella giornata estiva, ho meditato su questi argomenti durante il mio pellegrinaggio sulle sponde del Lago Sant’Anna, nella provincia di Alberta, in Canada. Quel lago è stato ed è un luogo di pellegrinaggio per molte generazioni di indigeni. Come ho detto in quell’occasione, accompagnato dal suono dei tamburi: «Quanti cuori sono giunti qui desiderosi e ansimanti, gravati dai pesi della vita, e presso queste acque hanno trovato la consolazione e la forza per andare avanti! Anche qui, immersi nel creato, c’è un altro battito che possiamo ascoltare, quello materno della terra. E così come il battito dei bimbi, fin dal grembo, è in armonia con quello delle madri, così per crescere da esseri umani abbiamo bisogno di cadenzare i ritmi della vita a quelli della creazione che ci dà vita». [1] In questo Tempo del Creato, soffermiamoci su questi battiti del cuore: il nostro, quello delle nostre madri e delle nostre nonne, il battito del cuore creato e del cuore di Dio. Oggi essi non sono in armonia, non battono insieme nella giustizia e nella pace. A troppi viene impedito di abbeverarsi a questo fiume possente. Ascoltiamo pertanto l’appello a stare a fianco delle vittime dell’ingiustizia ambientale e climatica, e a porre fine a questa insensata guerra al creato. Vediamo gli effetti di questa guerra in tanti fiumi che si stanno prosciugando. «I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi», ha affermato una volta Benedetto XVI. [2] Il consumismo rapace, alimentato da cuori egoisti, sta stravolgendo il ciclo dell’acqua del pianeta. L’uso sfrenato di combustibili fossili e l’abbattimento delle foreste stanno creando un innalzamento delle temperature e provocando gravi siccità.
Spaventose carenze idriche affliggono sempre più le nostre abitazioni, dalle piccole comunità rurali alle grandi metropoli. Inoltre, industrie predatorie stanno esaurendo e inquinando le nostre fonti di acqua potabile con pratiche estreme come la fratturazione idraulica per l’estrazione di petrolio e gas, i progetti di mega-estrazione incontrollata e l’allevamento intensivo di animali. “Sorella acqua”, come la chiama San Francesco, viene saccheggiata e trasformata in «merce soggetta alle leggi del mercato» (Enc. Laudato si’, 30). Il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (IPCC) afferma che un’azione urgente per il clima può garantirci di non perdere l’occasione di creare un mondo più sostenibile e giusto. Possiamo, dobbiamo evitare che si verifichino le conseguenze peggiori. «È molto quello che si può fare!» (ibid., 180), se, come tanti ruscelli e torrenti, alla fine insieme confluiamo in un fiume potente per irrigare la vita del nostro meraviglioso pianeta e della nostra famiglia umana per le generazioni a venire. Uniamo le nostre mani e compiamo passi coraggiosi affinché la giustizia e la pace scorrano in tutta la Terra. Come possiamo contribuire al fiume potente della giustizia e della pace in questo Tempo del Creato? Cosa possiamo fare noi, soprattutto come Chiese cristiane, per risanare la nostra casa comune in modo che torni a pullulare di vita? Dobbiamo decidere di trasformare i nostri cuori, i nostri stili di vita e le politiche pubbliche che governano le nostre società. Per prima cosa, contribuiamo a questo fiume potente trasformando i nostri cuori. È essenziale se si vuole iniziare qualsiasi altra trasformazione. È la “conversione ecologica” che San Giovanni Paolo II ci ha esortato a compiere: il rinnovamento del nostro rapporto con il creato, affinché non lo consideriamo più come oggetto da sfruttare, ma al contrario lo custodiamo come dono sacro del Creatore. Rendiamoci conto, poi, che un approccio d’insieme richiede di praticare il rispetto ecologico su quattro vie: verso Dio, verso i nostri simili di oggi e di domani, verso tutta la natura e verso noi stessi. Quanto alla prima di queste dimensioni, Benedetto XVI ha individuato un’urgente necessità di comprendere che Creazione e Redenzione sono inseparabili: «Il Redentore è il Creatore e se noi non annunciamo Dio in questa sua totale grandezza – di Creatore e di Redentore – togliamo valore anche alla Redenzione». [3] La creazione si riferisce al misterioso e magnifico atto di Dio di creare questo maestoso e bellissimo pianeta e questo universo dal nulla, e anche al risultato di quell’azione, tuttora in corso, che sperimentiamo come un dono inesauribile. Durante la liturgia e la preghiera personale nella «grande cattedrale del creato», [4] ricordiamo il Grande Artista che crea tanta bellezza e riflettiamo sul mistero della scelta amorosa di creare il cosmo. In secondo luogo, contribuiamo al flusso di questo potente fiume trasformando i nostri stili di vita. Partendo dalla grata ammirazione del Creatore e del creato, pentiamoci dei nostri “peccati ecologici”, come avverte il mio fratello, il Patriarca Ecumenico Bartolomeo. Questi peccati danneggiano il mondo naturale e anche i nostri fratelli e le nostre sorelle. Con l’aiuto della grazia di Dio, adottiamo stili di vita con meno sprechi e meno consumi inutili, soprattutto laddove i processi di produzione sono tossici e insostenibili. Cerchiamo di essere il più possibile attenti alle nostre abitudini e scelte economiche, così che tutti possano stare meglio: i nostri simili, ovunque si trovino, e anche i figli dei nostri figli. Collaboriamo alla continua creazione di Dio attraverso scelte positive: facendo un uso il più moderato possibile delle risorse, praticando una gioiosa sobrietà, smaltendo e riciclando i rifiuti e ricorrendo ai prodotti e ai servizi sempre più disponibili che sono ecologicamente e socialmente responsabili. Infine, affinché il potente fiume continui a scorrere, dobbiamo trasformare le politiche pubbliche che governano le nostre società e modellano la vita dei giovani di oggi e di domani.
Politiche economiche che favoriscono per pochi ricchezze scandalose e per molti condizioni di degrado decretano la fine della pace e della giustizia. È ovvio che le Nazioni più ricche hanno accumulato un “debito ecologico” ( Laudato si’, 51). [5] I leader mondiali presenti al vertice COP28, in programma a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre di quest’anno, devono ascoltare la scienza e iniziare una transizione rapida ed equa per porre fine all’era dei combustibili fossili. Secondo gli impegni dell’Accordo di Parigi per frenare il rischio del riscaldamento globale, è un controsenso consentire la continua esplorazione ed espansione delle infrastrutture per i combustibili fossili. Alziamo la voce per fermare questa ingiustizia verso i poveri e verso i nostri figli, che subiranno gli impatti peggiori del cambiamento climatico. Faccio appello a tutte le persone di buona volontà affinché agiscano in base a questi orientamenti sulla società e sulla natura. Un’altra prospettiva parallela è specifica dell’impegno della Chiesa cattolica per la sinodalità. Quest’anno, la chiusura del Tempo del Creato, il 4 ottobre, festa di San Francesco, coinciderà con l’apertura del Sinodo sulla Sinodalità. Come i fiumi che sono alimentati da mille minuscoli ruscelli e torrenti più grandi, il processo sinodale iniziato nell’ottobre 2021 invita tutte le componenti, a livello personale e comunitario, a convergere in un fiume maestoso di riflessione e rinnovamento. Tutto il Popolo di Dio viene accolto in un coinvolgente cammino di dialogo e conversione sinodale. Allo stesso modo, come un bacino fluviale con i suoi tanti affluenti grandi e piccoli, la Chiesa è una comunione di innumerevoli Chiese locali, comunità religiose e associazioni che si alimentano della stessa acqua. Ogni sorgente aggiunge il suo contributo unico e insostituibile, finché tutte confluiscono nel vasto oceano dell’amore misericordioso di Dio. Come un fiume è fonte di vita per l’ambiente che lo circonda, così la nostra Chiesa sinodale dev’essere fonte di vita per la casa comune e per tutti coloro che vi abitano. E come un fiume dà vita a ogni sorta di specie animale e vegetale, così una Chiesa sinodale deve dare vita seminando giustizia e pace in ogni luogo che raggiunge. Nel luglio 2022 in Canada, ho ricordato il Mare di Galilea dove Gesù ha guarito e consolato tanta gente, e dove ha proclamato “una rivoluzione d’amore”. Ho appreso che il Lago Sant’Anna è anche un luogo di guarigione, consolazione e amore, un luogo che «ci ricorda che la fraternità è vera se unisce i distanti, che il messaggio di unità che il Cielo invia in terra non teme le differenze e ci invita alla comunione, alla comunione delle differenze, per ripartire insieme, perché tutti – tutti! – siamo pellegrini in cammino». [6] In questo Tempo del Creato, come seguaci di Cristo nel nostro comune cammino sinodale, viviamo, lavoriamo e preghiamo perché la nostra casa comune abbondi nuovamente di vita. Lo Spirito Santo aleggi ancora sulle acque e ci guidi a «rinnovare la faccia della terra» (cfr Sal 104,30).

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 maggio 2023.

Avvisi:

Da martedì 25 a venerdì 28 luglio in caso di presenza di funerale la S. messa delle ore 8.00 verrà sospesa.
L’intenzione per la S. messa, se presente, verrà posticipata alla S. messa del giorno successivo, oppure si prenderanno accordi per un giorno diverso.

Martedì 15 agosto ci sarà solo una S. Messa alle ore 10.00 e la S. messa vigiliare di lunedì 14 alle ore 17.30.

Il discernimento nella Chiesa

Per diventare uomini del discernimento, bisogna essere coraggiosi, dire la verità a se stessi. Il discernimento è una scelta di coraggio, al contrario delle vie più comode e riduttive del rigorismo e del lassismo». Con queste parole Papa Francesco descrive uno dei concetti chiave della sua visione teologica: il discernimento. «Oggi la Chiesa ha bisogno di crescere nel discernimento» afferma Bergoglio. Abbiamo chiesto al gesuita Giacomo Costa, direttore della celebre rivista «Aggiornamenti Sociali» fino al 2021, di spiegarci meglio questo concetto e la sua dimensione ecclesiale. Costa è stato nominato da Papa Francesco segretario speciale del Sinodo dei vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Discernimento: potremmo quasi dire che è una parola “di moda”. Eppure il suo significato non è sempre chiaro. In sintesi come possiamo spiegare che cos’è il discernimento?
È vero: Papa Francesco ne parla da dieci anni, fin dall’esortazione apostolica Evangelii gaudium, ma il discernimento resta un oggetto “misterioso”, che suscita anche dubbi e paure. Anche per questo il Santo Padre ha voluto dedicarvi le catechesi del mercoledì del passato autunno e inverno. In sintesi, discernimento vuol dire vagliare le alternative per individuare la migliore e decidere di metterla in atto. Ma più in profondità, discernimento indica quell’atteggiamento interiore di ogni credente, che si chiede che cosa fare per compiere la volontà di Dio. È la domanda fondamentale dei discepoli del Signore, che riempie la vita di tanti santi e li spinge a compiere imprese impensate ed eroiche. In questo senso, possiamo dire che il discernimento è un atto di fede. Per discernere bisogna credere in un Dio la cui volontà per i suoi figli è la pienezza della gioia, come insegna il Vangelo di Giovanni. Poi bisogna credere che nella vita è possibile essere felici: quanti sono quelli che non ci credono e rinunciano a cercare la felicità! Infine, bisogna credere che ogni persona ha la capacità di scoprire la volontà di Dio, accoglierla e metterla in atto: magari le costerà fatica, o avrà bisogno di accompagnamento, ma ce la può fare. Così, nel discernimento è in gioco il senso profondo della nostra vita. Per questo è riduttivo pensare che si tratti di una tecnica per risolvere problemi o gestire processi decisionali, di un percorso di accettazione di sé o di pacificazione interiore: obbliga infatti la persona a confrontarsi con se stessa, con la realtà e con Dio, e poi — ma soprattutto! — a mettersi in movimento per dare attuazione pratica alle decisioni prese.
Quindi discernimento non è neanche il nome di un percorso di autoconsapevolezza?
L’autocoscienza ha una grande importanza: quanto più una persona ha consapevolezza della proprie qualità dei propri doni, ma anche dei propri limiti, tanto più il suo discernimento risulterà efficace. Lo stesso vale per la consapevolezza delle dinamiche della realtà in cui si tradurranno in atto le decisioni prese. Ma non possiamo dimenticare che il discernimento è un atto della coscienza, nel senso profondo e bellissimo che a questo termine dà la Gaudium et spes: quel luogo intimo in cui la persona è sola con Dio e sente risuonare la Sua voce.
Il discernimento non lo si fa mai da soli, ma sempre in dialogo con Dio, in ascolto della sua Parola e della voce dello Spirito Santo, all’interno di una comunità e di una tradizione che sostengono e accompagnano la persona in questo cammino. Ma forse è proprio questa la forma più radicale di autocoscienza, che conduce la persona a scoprire che l’identità si gioca sempre nelle relazioni, in particolare in quelle più fondamentali, a partire da quella con Dio. La posta in gioco è davvero alta: quali sono i rischi o gli equivoci che minacciano la pratica del discernimento?
Minaccia il discernimento tutto ciò che allontana la persona dalla propria coscienza, nel senso sopra ricordato: quindi l’autoreferenzialità, una ricerca superficiale di emozioni che ostacola il movimento verso l’interiorità, la dipendenza da altri (un guru, una moda, un’ideologia…) o una osservanza estrinseca delle norme senza un reale ascolto della vita. Ugualmente minaccia il discernimento l’immagine di un Dio padronale o invidioso, che non vuole la felicità dei suoi figli: è l’idea che il serpente ha insinuato a Eva nel giardino, e che prova a insinuare a noi oggi. Poi non possiamo dimenticare la mancanza di libertà interiore, che trasforma il discernimento da ricerca della volontà di Dio a tentativo di giustificare scelte prese a prescindere da Lui. E poi c’è un rischio molto diffuso: quello del discernimento “monco”, che identifica la direzione in cui andare, ma non muove mai il primo passo, rimanendo così una teoria.
Ha parlato di libertà interiore. Ma la psicanalisi nel secolo scorso, come oggi le neuroscienze, sembrano restringere lo spazio del libero arbitrio. Che senso ha il discernimento se i nostri comportamenti sono l’esito di condizionamenti di ogni genere?
Parlare di libertà non significa misconoscere i condizionamenti. Anzi, scoprirli è parte del lavoro fondamentale dell’autoconsapevolezza e la migliore conoscenza del funzionamento del cervello che il progresso delle scienze produce è un contributo insostituibile. Tuttavia le evidenze empiriche non esauriscono il discorso. Occorre piuttosto mettere in dialogo diversi saperi: nessuno può imporre agli altri il proprio punto di vista. Possiamo tranquillamente riconoscere di essere sottoposti a molti condizionamenti, ma questo non elimina lo spazio del discernimento, anzi lo rende ancora più necessario, proprio perché gli impulsi interiori sono tanti, e ci spingono in direzioni diverse. Il discernimento consiste nel diventare consapevoli di queste voci, che spesso ci “agiscono” senza che neanche ce ne accorgiamo. Per questo il Papa dice che si tratta di «togliere il pilota automatico». Il primo passo verso la libertà è divenire consapevoli delle immagini e delle spinte interiori che troviamo in noi, per assecondare quelle costruttive, indirizzate verso la pienezza della gioia promessa da Dio, e respingere quelle distruttive.
Gli apparati digitali, entrati prepotentemente nella vita di tutti, si configurano come “protesi” esterne alle nostre facoltà intellettive. Senza arrivare all’ intelligenza artificiale è opportuna una riflessione sulla relazione tra trasformazioni antropologiche e capacità di discernimento. Per esempio, la nostra memoria oggi risiede in buona parte nei nostri telefonini e non più nel cervello. Come si può discernere senza memoria?
Evidentemente non si può, come in fondo non si può nemmeno vivere. Ma dobbiamo fare attenzione a non alimentare giudizi affrettati e allarmistici sull’innovazione tecnologica a cui oggi assistiamo, che è davvero impressionante. Innanzi tutto, non mi sembra che le capacità umane vengano sostituite dalle macchine, piuttosto cambiano le condizioni in vengono esercitate.
E poi dobbiamo fare attenzione all’uso delle parole: un disco rigido o una cloud sono “magazzini di dati”, ma non soppiantano la memoria in senso antropologico. Il lavoro della memoria, infatti, è rielaborare continuamente l’esperienza, scoprendo le connessioni tra i dati e svelandone il senso. Il ricordo di una bella giornata non si riduce ai dati meteo salvati in un computer o al cielo azzurro nelle foto sul telefonino. Senza connessioni, anche affettive, queste informazioni hanno poco significato. Ma l’innovazione tecnologica ha anche un altro impatto: aumenta, spesso a dismisura il numero delle opzioni tra cui scegliere. Possiamo dire che oggi scegliamo molto più che in passato. E la velocità del cambiamento è tale che non possiamo semplicemente attenerci all’esempio delle generazioni precedenti, perché viviamo in un mondo troppo diverso, di cui non abbiamo una mappa. Per muoverci ci serve una bussola, che è proprio il discernimento.
Se il discernimento è così importante per procedere in un modo sempre più complesso non stupisce che su di esso insista Papa Francesco, che ci invita a pensare il mondo come poliedro anziché come sfera. Che cosa comporta questo passaggio per la Chiesa e il suo rapporto con il mondo?
Il passaggio è per certi versi semplice, ma non per questo facile. Pensare il mondo come un poliedro significa accettare che ciò che di esso vediamo dipende dal punto da cui lo osserviamo: da una prospettiva apparirà concavo, da un’altra convesso. Questo significa che ogni punto di vista, compreso quello della Chiesa, deve rinunciare alla pretesa di essere totale e accettare la propria parzialità. Significa anche che ricostruire una immagine completa della realtà richiede il dialogo fra le diverse prospettive, ciascuna delle quali, a partire da quella dei poveri, è portatrice di un contributo insostituibile. Per certi versi, possiamo dire che dialogo è il nome del discernimento quando entra nello spazio pubblico e affronta le dinamiche sociali: comprenderle e quindi capire come intervenire su di esse oggi non è possibile senza convocare la pluralità delle diverse prospettive. In fondo è questa anche la “scommessa” del Sinodo, che ripropone la domanda sulla volontà di Dio: quali passi lo Spirito ci chiede di compiere per poter camminare insieme agli uomini e alle donne del nostro tempo e annunciare loro il Vangelo nel mondo di oggi? Trovare la risposta non può che essere un’azione sinodale, che si mette in ascolto di tutti i punti di vista e articola le differenze, senza arrendersi alla frammentazione né all’omogeneizzazione.
Ma per discernere bisogna essere credenti? In un mondo in cui non tutti lo sono, ma bisogna imparare a camminare insieme, la domanda appare cruciale.
Non possiamo in alcun modo sminuire le peculiarità del discernimento in senso pienamente cristiano, non fosse altro perché può alimentarsi attraverso meditazione della Parola di Dio e la vita sacramentale. Tuttavia non possiamo nemmeno dimenticare che la coscienza non è un monopolio dei credenti, e men che meno dei cristiani. Dio parla nell’intimo a tutti e a tutti formula una promessa di vita a cui affidarsi, a prescindere da una esplicita professione di fede religiosa. Come questa fiducia di base possa costituire il terreno per un discernimento condiviso è quello che oggi siamo chiamati a scoprire camminando insieme.