Tre immagini del Natale: il presepe con Maria e Giuseppe; la storia della salvezza letta nel
Martirologio (…); il silenzio profondo in cui si compie il Mistero. Tre immagini che sono realtà
nella vita di qualunque cristiano che voglia essere fedele: l’affetto, la costanza e l’attesa dei
secoli, il silenzio. (…) Adesso meditiamo sul silenzio. (…)
I mezzi di comunicazione di massa ci sottopongono a quella che potremmo chiamare
un’«alluvione di parole». Mi domando: «Sono capace di vivere senza la radio? Per quanti
giorni?». Esiste un consumismo di parole: parole dolci, seduttive, oggettive, colleriche… di ogni tipo. Parole che cercano di entrarci rumorosamente nel cuore e non apportano niente alla verità. La Parola ha creato l’universo, la Parola di Dio, che ha detto e tutto fu fatto. La parola che usiamo è stata depotenziata della sua potenza creativa. E noi infatti lo sappiamo, perché istintivamente diffidiamo delle parole che ci vengono dette, non vi prestiamo fede, diciamo: «Non sono altro che parole… Non hanno niente a che vedere con la verità».
Eppure, quanto ci piace ascoltarle! E quando dobbiamo esprimere un sentimento, siccome le parole sono così
consumate, a volte non sappiamo come farlo; e allora ricorriamo a una serie di artifizi, anch’essi menzogneri, che
prostituiscono il sentimento: la «formalità», la «provocazione», la parola «sdolcinata» dell’intimista.
Ma il sentimento resta dentro e non sappiamo come esprimerlo nella verità, come esprimerlo in solitudine.
Ecco il cuore del problema: se non c’è solitudine non c’è silenzio, e senza entrambi non c’è
verità. Il silenzio è l’espressione più alta della solitudine del cuore. Il silenzio trasforma la
solitudine in realtà. E quando non cediamo al prurito di ascoltare noi stessi, cioè alla vanità
dell’anti-silenzio, sfuggiamo alla solitudine di quelle innumerevoli maniere formali,
provocatorie, intimistiche, massificanti… Tutte parole che non danno vita, che non nascono
da un cuore passato attraverso il crogiolo della solitudine, nella costanza e nell’affetto. Non nascono – in sostanza – da un cuore fecondo.
Le parole vere si forgiano nel silenzio. Più ancora: il nucleo stesso della parola dev’essere silenzioso. Se la parola è vera, nel suo cuore si annida il silenzio. E la parola, una volta pronunciata, torna al silenzio abissale e fecondo da cui proveniva. La parola muore per fare posto all’amore, alla bellezza, alla verità, che proprio essa ha portato. Ce lo ricordava acutamente sant’Agostino: «Giovanni la voce, il Signore, invece, in principio era il Verbo.
Giovanni voce nel tempo, Cristo in principio Parola eterna. […] La voce, senza la parola, colpisce l’orecchio, non apporta nulla alla mente. […] La parola, a te recata dal suono, è ormai nella tua mente e non si è allontanata dalla mia. Perciò il suono, proprio il suono, quando la parola è penetrata in te, non ti sembra dire: Egli deve crescere ed io, invece, diminuire? La sonorità della voce ha vibrato nel far servizio, quindi si è allontanata, come per dire: Questa mia gioia è completa. Conserviamo la parola, badiamo a non perdere la parola concepita nel
profondo dell’essere». La nostra parola, il nostro parlare, che nasce dal silenzio, dev’essere contenta di morire tornando al silenzio da cui era uscita.