Seconda Giornata mondiale dei nonni e degli anziani

Domenica 24 luglio 2022
Va cambiata radicalmente l’idea che tutti abbiamo della vecchiaia, come un tempo di scarto, di disastro, di fine.

«Anziano è bello», disse papa Benedetto XVI, poche settimane prima di rinunciare al papato, agli anziani di una casa della Comunità di Sant’Egidio. Aveva ragione. Ed è importante ripeterlo: va, infatti, cambiata radicalmente l’idea che tutti abbiamo della vecchiaia, come un tempo di scarto, di disastro, di fine. Non è così. La vecchiaia ha un suo valore proprio, come tutte le altre età della vita. Papa Francesco lo sta ripetendo, da fine marzo, nelle catechesi del mercoledì dedicate agli anziani. E ha insistito nel Messaggio in occasione della 2a Giornata mondiale dei nonni e degli anziani (si celebra il 24 luglio). Gli anziani sono una categoria più vasta rispetto ai nonni e alle nonne. Catechesi del mercoledì e la giornata del 24 luglio costituiscono un dittico di un nuovo affresco sulla vecchiaia. Se non cambiamo l’idea triste che abbiamo della vecchiaia non andremo lontani. La “rivoluzione della tenerezza” — dice papa Francesco — sarà portata nel mondo dai nonni e dalle persone anziane nella misura in cui saranno loro stessi per primi convinti di non essere “inutili”. Soprattutto in Italia, il secondo Paese al mondo, dopo il Giappone, per numero di anziani: noi anziani italiani siamo (ci sono anche io) circa 14 milioni al di sopra dei 65 anni. Ecco l’attualità del Papa quando scrive: «La vecchiaia non è un tempo inutile in cui farci da parte tirando i remi in barca, ma una stagione in cui portare ancora frutti: c’è una missione nuova che ci attende e ci invita a rivolgere lo sguardo al futuro». Gli anziani hanno un ruolo in famiglia, nel portare dialogo tra le generazioni, nel trasmettere la memoria della storia. Ecco le “parole d’ordine” dell’età anziana: consapevolezza di sé, preghiera, pensiero, azione decisa a favore del dialogo tra le generazioni. Nella Chiesa sta nascendo un pensiero sull’età anziana. Nonni, ma non solo, maestri e maestre di sapienza e di senso per la vita. Le istituzioni hanno il dovere di accompagnare il cambio di paradigma. Suggerisco due aspetti da tenere in considerazione: la politica e la Chiesa.
In Italia, in seguito alla pandemia e alla morte di centinaia di migliaia di anziani nelle case di riposo, oggi abbiamo un piano nuovo di assistenza, che è all’attenzione del governo e dello stesso Parlamento.
È necessario cambiare la modalità dell’assistenza: non si tratta di irrobustire i servizi o di dare più spazio agli erogatori dei servizi stessi. Il problema è differente: dobbiamo chiederci come la società si prende cura di tutti i suoi anziani, partendo dal loro domicilio e dando risposte a seconda dei loro bisogni. La priorità dell’assistenza domiciliare integrata e continuativa è un paradigma nuovo perché, ancora oggi, per il ministero della Salute, l’assistenza domiciliare significa 17 ore l’anno di presenza infermieristica. Un’assistenza che non serve. C’è bisogno di ripensare globalmente la presa in carico degli anziani e c’è da inventare, almeno organicamente, tutta una filiera. In questa prospettiva un’apposita Commissione, che ho l’onore di presiedere, ha elaborato un piano organico per riordinare non solo l’assistenza agli anziani ma l’intera politica nei loro confronti. È necessario investire (e le risorse ci sono) su un continuum assistenziale che parte dalla domiciliarità, tenendo presente che la sola domiciliarità non è di per sé la salvezza. C’è bisogno di una domiciliarità all’interno di una ritessitura dei rapporti nell’area ove l’anziano vive. C’è, poi, da favorire il cohousing, con appartamenti che permettano a più anziani una convivenza. C’è bisogno di nuovi centri diurni attrezzati. Al riguardo il Ministero delle infrastrutture è disponibile a restaurare tanti edifici in tutt’Italia, come centri diurni, per sopperire all’abbandono o alla solitudine. E andiamo verso un coinvolgimento non solo delle realtà cooperativistiche, ma anche del volontariato, delle reti umane e sociali, per quell’empatia che deve tornare a far rivivere il tessuto di un’Italia dove l’individualismo non ha ancora sfracellato il contesto sociale. E guardiamo più da vicino il ruolo della Chiesa. A volte sento dire, in senso negativo, che le nostre parrocchie e le nostre Messe sono popolate di anziani, come un giudizio negativo. «Per fortuna ci sono gli anziani!», rispondo tutte le volte. Essi hanno un compito rilevante nella società come nella Chiesa. «Molti di noi», ancora il Papa nel Messaggio per il 24 luglio, «hanno maturato una saggia e umile consapevolezza, di cui il mondo ha tanto bisogno: non ci si salva da soli, la felicità è un pane che si mangia insieme. Testimoniamolo a coloro che si illudono di trovare realizzazione personale e successo nella contrapposizione». Papa Francesco parla in prima persona, e da anziano si rivolge ai suoi coetanei con parole coraggiose e stimolanti: «Care nonne e cari nonni, care anziane e cari anziani, in questo nostro mondo siamo chiamati a essere artefici della rivoluzione della tenerezza!», usando «lo strumento più prezioso che abbiamo, e che è il più appropriato alla nostra età: quello della preghiera» che «può accompagnare il grido di dolore di chi soffre e può contribuire a cambiare i cuori». La politica e la Chiesa possono convergere verso una valorizzazione dell’età anziana: da un lato fornendo assistenza e servizi — cioè speranza di una vita degna — e dall’altro offrendo alle persone anziane un supplemento di spiritualità, dando loro elementi per trovare un senso profondo a questa fase ultima della vita. Ultima, ma non definitiva. La morte è un passaggio verso un’altra modalità della vita. La fede nella risurrezione ci porta a sperare in un “oltre” pienamente umano. Anzi benedetto da Dio. «Cari anziani», mi permetto di dire, «il meglio deve ancora venire!».

Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la vita.

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