42 convegno delle Caritas Diocesane – Sulla via degli ultimi

Dopo due anni di stop causa pandemia, i delegati di 165 diocesi si sono radunati a Milano.
di Luciano Gualzetti Caritas Ambrosiana.

Tra il 20 e il 23 giugno si è svolto a Milano il 42° Convegno delle Caritas diocesane, che ha visto la partecipazione di 547 delegati provenienti da 165 diocesi e circa 200 dalla diocesi di Milano che, dopo due anni di stop a causa della pandemia, hanno vissuto un momento significativo per la Caritas e per la Chiesa italiana. In due anni il mondo è cambiato. Gli interrogativi del 2020 di verifica dei primi 50 anni di vita di Caritas italiana, che avevano avuto nell’udienza di papa Francesco del 2021 la conferma del proprio mandato di organismo pastorale per la promozione della testimonianza della carità della comunità cristiana, attraverso la via degli ultimi, la via dello stile del Vangelo e la via della creatività, sono diventate vere e proprie sfide per una Caritas consapevole di abitare la nuova epoca. E stato un convegno ricco di interventi e di contenuti, difficili da sintetizzare. Alcune consapevolezze, tuttavia, sono emerse in modo condiviso. E su queste lavoreranno le Caritas diocesane, nel solco del servizio ecclesiale cui sono chiamate nella Chiesa di oggi. Va riconosciuto, innanzitutto, il cambiamento d’epoca che stiamo attraversando. L’emozionante testimonianza del teologo Pierangelo Sequeri ha avvertito come la sfida per la Chiesa è quella di abitare un’epoca che ha perso il riferimento a tutto ciò che è religioso. Per la prima volta nella storia dell’umanità la nostra epoca relega la religione nell’alveo marginale. E a noi contemporanei di questa società secolarizzata tocca il compito di trovare il modo per abitare quest’epoca. Si tratta come Chiesa di chiedersi come dare testimonianza o come si forma la società senza disporre di strutture politiche o di istituzioni pubbliche e di una cultura omogenea delegata a questo compito come era-no abituate tutte
le religioni. E un compito tosto che richiede alleanza tra Chiesa e Caritas. In questo guado ancora incerto nell’approdo, la Caritas è una delle poche realtà ecclesiali che può dire qualcosa di sensato, perché abita le ferite e le contraddizioni della storia e della realtà. Una traduzione di quella prospettiva creativa indicata da Francesco come via per la Caritas. In secondo luogo, la vocazione della Caritas. Essa è chiamata a favorire l’incontro con i poveri perché siano di tutti, della comunità, della Chiesa; stare dalla parte dei poveri e leggere la realtà con gli occhi degli ultimi, perché la Chiesa possa interpretare, alla luce del Vangelo, la realtà che vuole trasformare. Monsignor Valentino Bulgarelli e padre Giacomo Costa hanno chiesto a Caritas di aiutare la Chiesa italiana nel Cammino sinodale in atto. Includendo nel cammino questi compagni di viaggio: ascolto e relazioni. Non soltanto con il racconto delle buone pratiche, ma portando speranza nelle comunità. La Caritas è Chiesa. Il neo presidente Cei cardinale Matteo Zuppi ha ricordato che la Caritas non è un’agenzia esterna a cui la Chiesa affida le opere. Ma un suo organismo a cui è chiesto di coinvolgere tutta la comunità nell’incontro coni fratelli più piccoli. Azione pastorale a pieno titolo. Gli ultimi devono sentirsi par-te della comunità. La Caritas li intercetta e li porta dentro. La via degli ultimi deve diventare la via normale della Chiesa. La Caritas deve ricostruire un tessuto umano in cui tutti si sentono oggetto di attenzione e an-che un soggetto protagonista delle trame di relazioni che dovrebbe caratterizzare le nostre comunità.

La Caritas ha come compito principale l’annuncio.

La Buona Notizia passa attraverso la promozione della dignità di uomini e donne con il metodo della misericordia e della compassione. Solo con l’agape possiamo come comunità annunciare, accogliere e donare in modo credibile. Sequeri ha posto l’interrogativo fondamentale per la Chiesa di come creare le condizioni per almeno ospitare l’agape di Dio per promuovere comunità composte da relazioni autentiche, stima reciproca, attenzione alle storie personali e non solo agli aspetti organizzativi. La Caritas promuova un certo tipo di carità perché sia credibile l’annuncio del regno. C’è carità e carità! Lo diceva già il Concilio: non dare per carità ciò che è dovuto per giustizia, non occuparsi solo degli effetti, ma rimuovere le cause, fare in modo che la persona aiutata non abbia più bisogno del nostro aiuto. Anche l’arcivescovo Mario Delpini, nella messa in Duomo con i delegati, ha ricordato Gesù che pratica un certo tipo di carità mentre dichiara la sua volontà di purificare il lebbroso: «Non la prestazione, ma la relazione; non il sollievo, ma la salvezza; non l’accondiscendenza, ma la vocazione; non l’individuo, ma la persona nella comunità; non la popolarità, ma l’obbedienza al Padre… La sua missione è obbedienza al Padre che vede nel segreto, è docilità allo Spirito che lo spinge sempre oltre, è missione di evangelizzazione che deve giungere anche oltre, anche altrove, anche là dove nessuno lo aspetta e nessuno lo cerca». La Caritas ha nel suo Dna la pace, non solo per l’obiezione di coscienza, ma per tutte le opere non violente e di cooperazione che hanno creato condizioni per una pace duratura.
Su questo tema il nostro tempo ci interroga. E ci chiede di uscire dalla logica delle armi, che ci mette all’angolo nel dualismo amico-nemico, armi sì — armino; ma abitare con l’ascolto delle ragioni di tutti e il dialogo umanizzante la terra di mezzo, spesso più pericolosa perché scomoda per entrambi gli avversari. Con proposte realistiche, realizzabili e convincenti. Ma nel solco della tradizione non violenta e alternativa all’uso delle armi per la soluzione dei conflitti e per costruire la pace anche per le generazioni future. Una Caritas per cambiare le cose per le persone soccorse e quelle che verranno. Coltivando la speranza che c’è sempre una via d’uscita (Laudato sì 61), perché la storia è in mano a Dio, che la conduce tenendo fede alla sua promessa. Aperti alla creatività che non ha paura di rendere protagonisti i giovani che — come dice Francesco — hanno fiuto per scoprire nuove strade. Occorre avere — ha detto padre Giacomo Costa —uno sguardo al futuro, accettando di camminare incontro alla pienezza della grazia che supera ogni aspettativa, per affrontare le enormi sfide che ci stanno davanti. Da parte sua, don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana, ha invitato ad abitare la città degli uomini con lo stile del vangelo, senza scadere nel “martalismo” , cioè il solo assistenzialismo, ma scegliendo la parte migliore come Maria: l’ascolto della parola e dei poveri. Ha chiesto, infine, di aiutare la Chiesa a rileggersi a partire dai poveri: di uscire dal guado insieme a quelli che crediamo di aiutare: i veri protagonisti della loro e nostra liberazione.

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