Natalità e speranza di futuro

Un bimbo che viene al mondo è una nuova risorsa per tutta l’umanità.
Rinnovare l’alleanza tra generazioni.
di Francesco Belletti, direttore del Cisf (centro internazionale studi famiglia)

La centralità della questione demografica è ormai sotto gli occhi li tutti a livello internazionale, ria con particolare attenzione in Italia. Il crescente invecchiamento ella popolazione, la crescente diminuzione del numero di nascite, la presenza di rilevanti movimenti migratori, sia in entrata che in uscita dal nostro Paese, sono fenomeni in cui anche la politica ha cominciato a interrogarsi in modo pressante. Finalmente ci si è resi conto che un Paese non ha bisogno solo di un’economia fiorente, di un ambiente non inquinato e di governi efficienti e onesti, ma è anche necessario che la popolazione cresca e si viluppi in modo equilibrato. Se venisse a mancare l’equilibrio demografico, l’organizzazione sociale, economica, politica e persino ambientale verrebbe messa in crisi. Ma l’evoluzione demografica un popolo dipende in misura rilevante da un doppio movimento: da i lato i grandi trend macro-sociali e politici, dall’altro la libertà di scelta delle persone e delle famiglie.
Questa interazione rende particolarmente complesso ogni intervento. Ad esempio il rilevante allungamento della speranza di vita è frutto prima di tutto degli impressionanti progressi della scienza medica e delle condizioni di salute generale, ma anche di lunghi anni di sviluppo economico, che hanno consentito meno povertà, alimentazioni più sane e più sicure, lavori e stili di vita meno usuranti. Si genera così, però, un forte bisogno di cure per lunghi anni, spesso a carico delle famiglie dei figli adulti. Anche il crollo delle nascite è stato consentito e favorito dallo sviluppo di strumenti di anticoncezionali, oltre che da un cambiamento nelle scelte individuali delle coppie. Inoltre, paradossalmente, l’innovazione tecnologica e scientifica consentirebbe oggi anche di “aumentare il numero di bambini nati”, con tutta una serie di tecniche e strumenti di assistenza medica che rispondono a situazioni di infertilità che prima sarebbero rimaste permanenti. In altre parole, la demografia cambia per l’agire congiunto di dinamiche macro-sociali, che si intrecciano con le scelte delle persone e delle famiglie. La natalità si è via via ridotta fino ai minimi storici, con una serie di rischi e di criticità. Qui proviamo ad affrontare due dei temi più controversi della discussione, con rilevanti implicazioni valoriali e
culturali, che rendono più difficile una seria azione sociale di contrasto all’inverno demografico. Un primo nodo riguarda proprio la valutazione complessiva del fenomeno: a fronte di sempre più numerosi interlocutori autorevoli (Istat, ma anche i Rapporti Cisf dal 1990 a oggi), che lanciano segnali di allarme sempre più pressanti, non sono rari, al contrario, gli osservatori e i commentatori che affermano: «Per fortuna nascono sempre meno bambini: meno persone saremo, meglio sarà». Questa polarizzazione su nascite sì/nascite no ha a che fare con un atteggiamento complessivo nei confronti del futuro e con quelle responsabilità che potremmo chiamare “debito inter-generazionale”. Ogni generazione, infatti, deve “decidere” se e quando restituire il debito che ha verso chi l’ha messa al mondo. Ogni individuo entra nella storia senza merito e senza intenzione, ma a lui tocca decidere se rinnovare la continuità nella storia della propria stirpe “di generazione in generazione”. È evidentemente in gioco la libertà di ciascuno, prima ancora che l’osservanza di un mandato sociale di bene comune, come proteggere il sistema pensionistico, argomento utilitaristico non privo di fondamento, ma un po’ deludente sul piano valoriale. Oggi, però, questa “restituzione del dono” non viene più considerata doverosa o inevitabile, e un numero crescente di persone sceglie che i figli non faranno parte del proprio orizzonte esistenziale. E così le nuove generazioni “non nascono”. Dal punto di vista societario, inoltre, una struttura demografica con troppi anziani e pochissimi bambini non solo prefigura una progressiva drastica riduzione numerica di un popolo, ma soprattutto rende questa popolazione meno innovativa, meno dinamica, meno progettuale verso il futuro.

Lo stereotipo sui “limiti di sviluppo” della terra.

Una seconda argomentazione tra chi ritiene urgente la ripresa della natalità e chi, invece, invoca interventi per una drastica diminuzione e controllo delle nascite, rimanda all’idea che gli esseri umani abbiano un impatto negativo sulla sostenibilità complessiva del pianeta. E che, quindi, mettere al mondo un figlio (o “un figlio in più”) sia un gesto di irresponsabilità ecologica, in un pianeta già troppo sfruttato e inquinato. Si tratta di uno stereotipo di lunga data, che riemerge in vario modo da metà Ottocento fino ai giorni nostri, collegato al concetto di “limiti di sviluppo” del sistema Terra. L’argomento è interessante e stimolante anche in ambito ecclesiale, tanto che il Magistero più recente ha affrontato questo nodo con grande serietà, soprattutto con gli interventi di papa Francesco, che ha dedicato alla famiglia e all’accoglienza della vita le importanti pagine di Amoris laetitia, ma ha anche dedicato un altro importante documento alla promozione e tutela dell’ambiente, la Laudato si. A testimoniare che nell’antropologia cristiana persona e ambiente sono alleati, e non nemici. Perché la sfida di uno sviluppo sostenibile è certamente condivisibile, e la tensione tra carico demografico della popolazione e risorse del pianeta è un nodo da tenere in considerazione, in una visione di lungo periodo. Ma bisogna anche ricordare che proprio l’uomo è anche l’essere che maggiormente sa e può custodire il creato, attraverso una tecnologia eco-compatibile, attraverso la propria cura e responsabilità, attraverso il contenimento dell’impatto ambientale delle proprie attività.
L’uomo sa e può contrastare gli eventi della natura per garantirle sostenibilità, e magari tra i bambini che verranno messi al mondo nei prossimi mesi nascerà anche lo scienziato che saprà inventare un sistema economico ed ecologico per ripulire gli oceani dalle plastiche con cui i suoi genitori hanno riempito i mari. Così sono le persone la prima risorsa per un’ecologia ambientale a misura di uomo, ma anche per un’antropologia a misura di ambiente. Contrapporre una vita che nasce alla necessità di tutelare il creato è una posizione ideologica, priva di speranza e capacità di futuro. Mentre un bimbo che viene al mondo è una nuova risorsa di novità, bellezza e speranza, per l’umanità e per il mondo tutto.

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