Si tratta di un tema che riguarda tutti, credenti e non credenti. La natura umana, infatti, ferita dal peccato, porta inscritta in sé la realtà del limite, della fragilità e della morte. Questo tema risponde, inoltre, a una preoccupazione che ho particolarmente a cuore, e cioè che la malattia e la finitudine nel pensiero moderno vengono spesso considerate come una perdita, un non–valore, un fastidio che bisogna minimizzare, contrastare e annullare ad ogni costo. Non ci si vuole porre la domanda sul loro significato, forse perché se ne temono le implicazioni morali ed esistenziali. Eppure nessuno può sottrarsi alla ricerca di tale «perché» (cfr S. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Salvifici doloris, 9). Anche il credente talvolta può vacillare di fronte all’esperienza del dolore. È una realtà che fa paura e che, quando irrompe e assale, può lasciare l’uomo sconvolto, fino ad incrinarne la fede.