di Armando Matteo, teologo.
A dieci anni dall’arrivo di papa Francesco, è apparso opportuno a chi scrive rilanciare in modo semplice quello che ai suoi occhi rappresenta la linea principale del magistero di papa Francesco e convocare i suoi fratelli e le sue sorelle nella fede a un momento di vero discernimento e di vera azione. Per papa Francesco, in verità, il dramma della Chiesa attuale – principalmente in Occidente ma con cause e ricadute che travalicano i suoi meri confini culturali e politici – è che non facciamo più cristiani e cristiane. La rottura nella trasmissione generazionale della fede è il vero nodo intorno al quale egli ha convocato il popolo santo di Dio: il cambiamento d’epoca e la fine dell’epoca della cristianità hanno semplicemente reso inefficaci le antiche pratiche di iniziazione alla fede dei nostri cuccioli. Serve, allora, un cambiamento radicale della mentalità pastorale e ancora di più serve una nuova immaginazione del cristianesimo futuro. In vista dell’esecuzione di questo duplice compito, Bergoglio ci ha consegnato, sin dall’inizio del suo pontificato, la cifra della gioia del Vangelo e il grande tema dell’amicizia che Gesù a tutti propone. Ha poi declinato questo secondo tema nella logica di un rinnovato sogno di fraternità universale, che possa riscattare la nostra esistenza umana dal terribile processo di commercializzazione che il capitalismo avanzato porta avanti con un cinismo di altissima precisione che non può che lasciare stupiti, incurante ovviamente dei tanti feriti e morti che lascia sul terreno in cui prepotente avanza. Ed è in questo mondo che i credenti debbono tornare con coraggio e con entusiasmo a portare lo sguardo di misericordia e di elezione di Gesù che sta all’origine della loro fede e al quale sempre debbono ritornare per alimentare quella fede. Questo è l’invito immenso che ogni giorno di ogni mese di ogni anno di questi dieci anni ci è venuto da papa Francesco: che quello sguardo di misericordia vada al mondo intero, raggiunga ogni angolo di umanità, tocchi e sani le esistenze ferite, risvegli le coscienze e i cuori addormentati, converta il cuore di chi ha in mano le sorti finanziarie e politiche della società, metta fine alla globalizzazione dell’indifferenza, instauri un’ecologia umana integrale, riporti finalmente il cuore dei padri verso i figli. Ecco perché è essenziale prendersi cura della concreta fecondità della Chiesa: ci servono sempre uomini e donne che vivano della passione genuinamente evangelica di dare un volto umano al mondo – un volto fatto di dignità di tutti, di giustizia per tutti, di fraternità con tutti, di pace in cielo e in terra […].
Non cedere alla cattiva paura.
L’emozione della paura rappresenta una grande risorsa per l’essere umano. Non avendo, infatti, quest’ultimo un corredo istintuale completo, deve affidarsi all’esperienza diretta per fare conoscenza del mondo e di ciò che è presente nel mondo. Lentamente egli procede a una abitazione del mondo in cui può fare affidamento a ritmi ben stabiliti, ad azioni già sperimentate, a punti di riferimento efficaci e a previsioni molto realistiche.
Accade ciò che possiamo chiamare una sorta di “addomesticazione” del mondo ovvero la trasformazione del mondo in una casa abitabile per l’uomo […]. Accanto a questa forma, diciamo così, buona e decisamente vitale della paura, ne esiste una che definiamo cattiva paura. Intendiamo la situazione di chi al- fine dei conti ha paura della stessa paura: ha paura cioè di venirsi a trovare di fronte a qualcosa di non conosciuto, di inedito, di non ancora pensato e vissuto, che potrebbe causare un profondo mutamento nella propria condizione di vita. In questo caso, si reagisce a questa cattiva paura, provando a restare dentro il sentiero già conosciuto e sperimentato da tempo immemorabile. La cattiva paura rende colui che ne è ostaggio prigioniero del proprio passato e dunque di se stesso. A me sembra ora di poter dire che uno degli ostacoli che può frenare, in molti credenti, il desiderio di sintonizzarsi con l’appello di papa Francesco a un urgente cambiamento della mentalità ecclesiale e pastorale possa essere proprio la cattiva paura sin qui descritta. È la paura del nuovo, del rischio, dell’uscita dagli schemi già conosciuti e utilizzati milioni di volte, del prendere l’iniziativa, del dare vita a nuovo modo di essere e agire da credenti in questo cambiamento d’epoca […].
Non cedere al risentimento.
Oggi la Chiesa – soprattutto in Occidente – si trova in una situazione di effettiva marginalizzazione rispetto alla vita concreta di tantissimi individui. Nessuno pensa di dover ricevere da lei alcuna autorizzazione per l’esercizio della sua libertà né ritiene in modo assoluto che la condizione dell’essere credente sia indispensabile per una vita compiuta. Gli unici paradisi che oggi si cercano sono quelli fiscali o quelli ai quali si accede tramite le droghe. I suoi seminari sono vuoti, i suoi conventi sono vuoti, i suoi monasteri sono vuoti, i suoi edifici di culto sono vuoti o appena semivuoti, i sacramenti che dispensa tantissime volte sono più un’occasione di festa familiare che non di reale crescita nell’esperienza cristiana, gli stessi movimenti – la sua primavera – iniziano a perdere forza d’attrazione sulle nuove generazioni, mentre quella calcistica è ormai quasi l’unica fede per la quale si è pronti pure a dare la vita. Senza passare sotto silenzio il fatto che, nella memoria collettiva, non sopravvive praticamente più nulla di quelle antiche parole che per secoli hanno indicato all’anima umana le coordinate per contenere le altezze e le bassezze di ogni piccola e grande esistenza: parole come sacrificio, dono, riparazione, peccato, espiazione, redenzione attraverso la croce, remissione della colpa, attesa escatologica, parusia, giudizio finale, paradiso, inferno, purgatorio, e infine salvezza. Per non parlare, infine, del continuo discredito che i mass media alimentano nei confronti del clero, dei vescovi e del Papa a seguito della terribile piaga degli abusi sessuali e di pola tere. I pochi credenti debbono così, quasi ad ogni piè sospinto, scusarsi del loro restare ancora tali. È così naturale che un certo risentimento abiti nel cuore di non pochi credenti di fronte a un mondo che da un momento all’altro ha voltato completamente le spalle al cristianesimo. Eppure, si deve onestamente riconoscere la verità di ciò che papa Francesco dice a proposito del risentimento, della sua forza oscura, del suo precipitare veloce verso i lidi del pessimismo e della tristezza e del condurci alla fine verso posizioni che di cristiano non hanno più nulla. Non cediamo, allora, al risentimento. Facciamo piuttosto nostro “lo sguardo che discerne”, il quale, dice ancora papa Francesco, «mentre ci fa vedere le difficoltà che abbiamo nel trasmettere la gioia della fede, allo stesso tempo ci stimola a ritrovare una nuova passione per l’evangelizzazione, a cercare nuovi linguaggi, a cambiare alcune priorità pastorali, ad andare all’essenziale». Mettiamo, allora, da parte la questione della consistenza e rilevanza culturale o materiale della Chiesa e facciamo spazio al desiderio di una Chiesa che sia sempre di più percepita quale spazio per chiunque disponibile a incontrarsi con Gesù e sperimentare la gioia della fede.
Non cedere all’indietrismo.
Un ultimo ostacolo all’assunzione dell’Opzione Francesco viene dalla terza delle tentazioni a cui oggi i credenti, secondo papa Francesco, sono sottoposti: la tentazione dell’indietrismo […]. In questo cambiamento d’epoca, quando è richiesto ai discepoli del Signore un improcrastinabile lavoro di immaginazione nuova del cristianesimo futuro e di conversione pastorale, al fine di assicurare il procedere della tradizione del messaggio del Signore agli uomini e alle donne di questo tempo, la tentazione dell’indietrismo fa di nuovo la sua apparizione con la promessa di una soluzione semplice a un problema complesso: e la soluzione è quella di non cambiare, ma di perseverare in quel sistema di trasmissione del messaggio del Signore che ha funzionato sinora. In questo modo, però, ha ricordato papa Francesco, il 24 novembre del 2022, alla Commissione teologica internazionale, la tradizione semplicemente muore […]. Non si può pertanto cedere all’indietrismo. Esso costituisce, in linea di diritto e di fatto, un vero tradimento della missione della Chiesa. La tradizione o cresce o muore. Oggi è il tempo di farla crescere di nuovo. Il bene della Chiesa ce lo chiede. Il bene del mondo ce lo chiede. Papa Francesco ce lo chiede.