La comunione ai divorziati risposati

Nella discussione sulla comunione ai divorziati si sente usare l’espressione: «Vangelo della misericordia per le famiglie ferite». In realtà, è un modo di dire più volenteroso che non illuminato, e che, anzi, induce chiaramente all’errore o al fraintendimento. Procediamo per punti, con un avvertimento e due premesse molto importanti.
L’avvertimento è per richiamare la necessità di una conoscenza della storia ricostruita con obiettività, e non a partire dall’esigenza di trovarvi giustificazione a posizioni attuali.
1. Quanto alle premesse:
La prima premessa è per far notare che, nel caso della comunione ai divorziati, il richiamo alla misericordia divina e ai sacramenti quali «segni delle misericordie di Dio» è assolutamente non pertinente. Infatti, a essere misericordia, per tutti, è la verità stessa del Vangelo, per cui, se si vuole risanare la ferita al matrimonio, la sola strada è quella di riconoscerne e praticarne l’indissolubilità, non quella di attenuarla, o di sfuggirla.
Affatto privo di pertinenza è poi il richiamarsi al mutamento dei tempi; non spetta ai tempi modificare il disegno divino, ma all’intramontabile disegno divino modificare e determinare i tempi.
La seconda premessa è per dire che segno della misericordia divina è l’indissolubilità stessa del matrimonio, a meno di pensare che essa sia stata imposta con un rigore «immisericordioso», che si cerca di mitigare.
La terza premessa è per affermare che i divorziati non sono fuori della Chiesa, anche se, a motivo del divorzio, la loro appartenenza risulta imperfetta o incompiuta, e non per un atto o una serie di atti, ma per una condizione permanente, com’è quella di chi ha divorziato.
2. Quanto alle famiglie ferite: sono quelle in cui il vincolo matrimoniale è stato sciolto. Ora, con tale scioglimento, ci si pone in antitesi col matrimonio istituito da Dio all’«inizio», e al quale Gesù Cristo rimanda come all’imprescindibile modello: «All’inizio però non fu così» (Mt 19, 8); l’uomo non deve quindi dividere quello che Dio ha congiunto. Ecco perché, «chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei, e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio» (Mc 10, 11-12).
3. Certo, occorre subito distinguere tra il caso di chi si trova abbandonato e non istituisce nuovo vincolo coniugale, e il caso di chi invece ha spezzato quel legame e ha creato un secondo un matrimonio. Nel primo caso non fa nessun problema l’ammissione all’Eucaristia, mentre completamente diverso è il caso di chi ha divorziato e si è, civilmente, risposato. In questo caso l’Eucaristia non può essere data.
Solo che, per comprenderne il motivo, è necessaria una duplice riflessione.
La prima riguarda la stessa Eucaristia, che non può essere concepita come un regalo che può essere donato o non donato a un fedele da parte della Chiesa. Essa rappresenta, infatti, la più intima comunione con Gesù Cristo, ed è il sacramento e l’epifania del vincolo indissolubile tra Cristo e la Chiesa.
La seconda riflessione riguarda il matrimonio che lo stesso Cristo ha istituito indissolubile. Che senso avrebbe ricevere l’Eucaristia da parte di chi, già sposato e ancora permanendo il primo matrimonio, ha contratto
nuove nozze e si è perciò posto in uno stato di coniugalità antitetico al matrimonio indissolubile, il solo espressamente riconosciuto da Cristo? Tra l’Eucaristia e il divorzio vi è una intrinseca opposizione.
L’ammissione all’Eucaristia di chi vive in una coniugalità difforme dal Vangelo non sarebbe un gesto di misericordia – la quale può fondarsi solo sulla verità del Vangelo – ma un gesto di ingiustizia e un deplorevole
inganno.
4. Senza dubbio le singole situazioni possono essere diverse e vanno valutate in concreto.
Può esserci il caso di una coppia che si è formata a seguito di un divorzio e che si trova ad avere figli, per la crescita dei quali la presenza e la convivenza dei genitori appare necessaria. Con la presenza di figli come
si può pensare a una separazione?
Ecco allora la domanda: possono questi genitori ricevere l’Eucaristia? Ritengo di sì, quando ci sia in essi la riprovazione della loro scelta di divorzio e il loro convivere escluda l’esercizio della coniugalità, aggiungendo a ciò l’attenzione a non suscitare scandalo nella comunità di appartenenza, ignara del genere dei loro rapporti.
5. Con queste considerazioni e precisazioni si può comprendere la ragione per la quale una pastorale autenticamente evangelica non ammetta all’Eucaristia chi permanga di fatto e deliberatamente in una condizione di divorzio.

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