Delirio tecnologico e disimpegno antropologico

Di fronte alle «crisi internazionali aggravate», «lo scenario bellico ampliato tragicamente», «la vita delle persone sempre più faticosa e frenetica», l’uomo contemporaneo rischia di rispondere paradossalmente con un «disinteresse antropologico», che significa fiducia fideistica nello sviluppo tecnologico e «crescente identificazione dell’uomo con le opere da lui prodotte». L’intervento del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, ieri mercoledì 19 giugno, alla seconda e conclusiva giornata del primo “Festival dell’Umano tutto intero” ha offerto una sollecitazione importante a non arrendersi alla «perdita dello sguardo dell’uomo su di sé e sulla propria interiorità». Il festival, promosso dal network “Ditelo sui tetti”, si è svolto presso il Pio Sodalizio dei Piceni a Roma. Le domande antropologiche — ha osservato il cardinale Parolin — «sembrano suscitare sempre meno interesse». I motivi sono diversi a partire «dall’incalzare del progresso scientifico e dal fascino di potenza che questo ha esercitato sull’umanità», ma ci sono «anche altre ragioni, più profonde»: la questione antropologica una volta che la si affronti seriamente e radicalmente «mette in evidenza e fa venire alla luce la costitutiva fragilità dell’essere umano», il suo essere non solo “una canna” ma, come dice Pascal, “la canna più fragile di tutta la natura”. Emerge un punto essenziale che tanto impegna il dibattito odierno: «Lo stesso sviluppo dei diritti umani soffre la mancanza di un fondamento solido, la cui carenza espone tali diritti a discipline molte volte incerte e provvisorie, se non ideologicamente orientate». D’altra parte, invece, si fotografa «l’affidamento al progresso tecnologico» che «assume le caratteristiche di una vera e propria “fede”». Si comprende dunque quanto sia «urgente e necessaria» la riflessione sulla questione antropologica, «indicendo un Festival dell’«umano tutto intero» — riprendendo una felice espressione di san Giovanni Paolo II », ha sottolineato il cardinale Parolin, ricordando che due anni fa c’è stato un primo incontro su questi temi organizzato dallo stesso network. In quel momento il contesto era legato alla pandemia, finita la quale «le cose non sono purtroppo migliorate». E il cardinale Parolin ha aggiunto parole che non nascondono a gravità dei rischi: «Lo scenario bellico si è ampliato tragicamente con l’esplosione del conflitto israelo-palestinese e la guerra “a pezzi”, denunciata da Papa Francesco sin dall’inizio del pontificato, è andata allargandosi e componendosi in un quadro sempre più preoccupante e corre oggi il rischio serissimo di sviluppi imprevedibili e sempre meno ipotetici.» Il punto è che proprio per questo una riflessione sull’umano potrebbe sembrare — ha avvertito — «un mero esercizio d’accademia», distante dalle urgenze e dai problemi del vivere quotidiano, tanto dei singoli quanto dei popoli. Ma sarebbe un primo grave errore pensare la domanda sull’uomo come separata e distante dalle domande e dai bisogni. Ha ricordato come non sia un caso che la questione antropologica risuoni da secoli, scolpita sull’architrave del tempio di Delfi, nel monito «Conosci te stesso».
Centralità e necessità risiedono nel fatto che essa è veicolo degli interrogativi sull’esistenza umana.È come se in qualche modo l’uomo dagli albori dell’era industriale avesse messo da parte queste domande. Non sono mancati avvertimenti. Il cardinale Parolin ha citato tra gli altri Friedrich Schiller che già a fine Settecento evidenziava come l’essere umano, «non avendo mai nell’orecchio che il monotono rumore della ruota ch’egli gira …, invece di esprimere nella natura la sua umanità, diventa soltanto una copia della sua occupazione o della scienza cui attende». E poi il segretario di Stato ha sottolineato che sempre più l’uomo si è allontanato da Dio, sempre più si è identificato con il risultato delle proprie azioni, «perdendo una visione d’insieme di sé, capace di unificare tutti gli esseri umani, senza distinzioni di sesso, di età, di razza o di condizione sociale.» Citando la Costituzione conciliare Gaudium et Spes — «La creatura senza il Creatore svanisce» — ha parlato di «un pericoloso processo di vera e propria “disumanizzazione”». Il cardinale Parolin ha citato anche Robert Musil per affermare che la nostra società rischia di assomigliare all’apprendista stregone della ballata di Goethe, avventuratosi in un incantesimo che non è poi in grado di padroneggiare. Dunque, l’appello a proposito di Intelligenza Artificiale: «Si pone l’esigenza di una vera e propria difesa dell’umano; un argine a quell’intelligenza che l’uomo stesso ha creato e dalla quale si trova adesso a dipendere». Si comprende meglio il significato del «vuoto creato da questo disimpegno antropologico» da cui scaturiscono «il neo-individualismo che esalta e assolutizza il principio di autodeterminazione dell’individuo». E «uno pseudo-umanesimo che arriva, in sostanza, a teorizzare una libertà senza responsabilità e diritti senza corrispondenti doveri, fondamentalmente ispirato al modello dell’uomo-Prometeo il quale, imbrigliato dal proprio delirio di autosufficienza, finisce tuttavia con il ritrovarsi irrimediabilmente solo».

Osservatore Romano

Un decalogo per un buon uso dei social

Di Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della CEI.

La responsabilità di chi comunica parte da una comunicazione essenziale e credibile in quanto autentica.
1) non approcciarsi ai social con le logiche degli influencer;
2) puntare alla costruzione della comunità più che alla divisione in tifoserie;
3) non sottovalutare mai l’importanza del linguaggio;
4) non utilizzare parole che raccontano solo il proprio ego;
5) usare i social con maturità umana;
6) far tesoro della ricchezza della propria spiritualità;
7) essere originali nella fede;
8) ricordare sempre di avere un’unica identità;
9) abitare i social significa studiarli;
10) impegnarsi per una formazione continua e permanente.

Lavori sulle strutture parrocchiali

In questi giorni sono iniziati i lavori di rifacimento della fognature e del piazzale degli appartamenti in V. P. Giovanni XXIII, 4

A settembre si provvederà al rifacimento della copertura in eternit del cinema, intervento messo in calendario per le cattive condizioni in cui versa la medesima.
L’importo complessivo per i due interventi è stimato per 120.000 €.

Come già comunicato, questi interventi pongono una pausa al progetto di realizzazione della pavimentazione della chiesa parrocchiale, in virtù della spesa che si dovrà affrontare.

Calendario pastorale

Mercoledì 26 ore 21.00 riunione del Consiglio pastorale (oratorio).

Sabato 6 e domenica 7 Raccolta alimenti caritas. Preferibilmente: tonno – pelati – olio di oliva – biscotti – zucchero – latte UHT.

Il CELIM comunica che nelle Ss. mese del 15 e 16 giugno hanno distribuito 190 pacchi di riso, raccogliendo 1100 €.
I contributi raccolti contribuiranno al sostegno di 500 bambini e giovani con disabilità attraverso un’educazione inclusiva, migliori diagnosi e trattamenti per autismo ed epilessia.

Cattolici, politica e bene comune

Essere cattolici significa essere aperti e capaci di dialogare anche con chi non si riconosce nella nostra fede

di Luca Bressan – vicario episcopale per la cultura, la missione e l’azione sociale della diocesi di Milano

Il clamore e le numerose polemiche suscitate dalla decisione dell’Istituto comprensivo “Iqbal Masih” di Pioltello (Mi-lano) di sospendere le lezioni lo scorso 10 aprile, in occasione della festa per la chiusura del Ramadan (per non obbligare molti alunni — che per oltre il 40% sono di religione islamica — a scegliere tra la partecipazione ai riti religiosi e la presenza alle lezioni) non soltanto si sono placati ma anche dimenticati. Sommersi — com’è ormai abitudine — dal flusso ininterrotto della comunicazione mediatica che copre con la novità delle ultime notizie le precedenti. Dimenticare in questo caso è però un’operazione rischiosa, che ci fa disperdere quanto abbiamo imparato da tutta la vicenda. Soprattutto, dimenticare signifca coprire la sfida culturale che abbiamo davanti agli oc-chi, come cittadini e come credenti. La Chiesa ambrosiana ha scelto di schierarsi, appoggiando la decisione presa dalla scuola, perché il dibattito da subito ha spostato la questione sul terreno dell’identità cristiana o cattolica del nostro Paese, e del rapporto tra le religioni. L’intenzione era aiutare le persone coinvolte a orientarsi, e sostenere i ragazzi della scuola, per aiutarli a rimanere uniti ed evitare “l’importazione” tra di loro di divisioni e polarizzazioni tipiche del mondo degli adulti. Di fronte a coloro che avevano ravvisato nella vicenda i segni di una volontà di cambiare l’identità cattolica della nazione, la diocesi di Milano ha ribadito in modo sereno ma fermo che la fede cristiana non cambia affatto nel suo nucleo fondamentale. Essendo la nostra una fede incarnata, e trovandoci in una società che sta vivendo forti cambiamenti, non possiamo non interrogarci sulle conseguenze che queste trasformazioni hanno sulle espressioni della nostra fede. Essere cattolici, nel senso tecnico ed etimologico del termine, significa far vedere che siamo aperti a tutto e capaci di dialogare anche con chi non si riconosce nella fede che professiamo. Per questo non vogliamo che il confronto e il dialogo tra le religioni diventi uno scontro.
Un dialogo che, tra l’altro, è condiviso da numerose comunità espressione della fede islamica. Durante il mese del Ramadan ho partecipato più volte a un Iftar (rito della rottura del digiuno) in moschee diverse. Non ho incontrato nessuna volontà di scontro diretto odi sopraffazione del cattolicesimo, ma piuttosto la ricerca di un’alleanza per confrontarsi insieme con una società che vuole espellere Dio. Noi siamo per la libertà religiosa, non per una laicità che espelle la religione dalla vita civile e sociale. Al contrario, siamo per una vita civile e sociale capace di contenere al proprio interno la pluralità delle religioni. Le reazioni alla scelta attuata dalla scuola di Pioltello hanno confermato una sensazione di scarsa preparazione a vivere nel quotidiano, a livello locale, il confronto con un mondo come quello islamico, che ormai è tra noi ed è arrivato non per una spinta di proselitismo o di conquista religiosa, ma per motivi sostanzialmente economici. Arrivata alla ricerca di lavoro e di una vita più dignitosa, la gente s’è portata dietro la propria cultura e la propria fede. Ci ha stupito vedere il disorientamento che questo provoca, innanzitutto tra noi cattolici. Al nostro interno mi sembra d’aver notato tre atteggiamenti diversi. Il primo, tutto sommato minoritario, è la condivisione piena della posizione della diocesi, accogliendone anche la profondità della prospettiva di fede da cui nasce e la ricchezza del lavoro compiuto dalla teologia delle religioni.
Un secondo atteggiamento, ancor più minoritario, è il dissenso aperto, motivato dalla paura di uno smarrimento dell’identità cristiana che conduce a leggere il confronto nella chiave dello scontro. In realtà, questa posizione non s’accorge che la perdita dell’identità cristiana non è legata alla presenza di al-tre religioni. A qualcuno che mi diceva che quelli che vengono a vivere qui dovrebbero assumere i nostri va-lori, m’è capitato di chiedere: «Ma lei a Pasqua è stato a messa?». Mi ha stupito sentirmi rispondere, con fastidio, «Che c’entra?». Ecco, la perdita dell’identità cristiana e dei suoi valori dipende dal fatto che non li custodiamo e non li coltiviamo, non dal fatto che gli immigrati musulmani non partecipano alla messa o che ci impegniamo nel dialogo con loro. Il terzo atteggiamento, il più diffuso, è quello di un silenzio pieno di apprensione verso la prospettiva del dialogo e del confronto. Per questo abbiamo bisogno di strumenti con cui dare ragione di quanto facciamo come credenti. Non si può più semplicemente vivere una fede di comodo, accontentandosi di rimanere nel solco di quello che ci è stato tramandato, senza una rielaborazione che sia all’altezza dei tempi che stiamo vivendo e quindi della sfida del pluralismo con cui siamo chiamati a confrontarci. «Gareggiate nello stimarvi a vicenda», dice san Paolo ai Romani (12,10). Ma anche il Corano dice: «Gareggiate in opere buone: tutti ritornerete ad Allah ed egli vi informerà a proposito delle cose sulle quali siete discordi» (Sara 5,48). Il monaco cristiano e martire Christian De Chergé commenta questo inedito parallelismo affermando che da cristiani siamo invitati a «cercare un senso divino alle differenze». Non si dialoga tra le religioni per costruire la pace: questo è il livello zero del dialogo. Si dialoga perché Dio ci attende per rivelarsi a noi nel crogiuolo della differenza.